Padri
La passione per il maiale portapannolini dell'uomo che gridava: Figli? Ma quando mai
Non ci lasceremo mai, amore mio, te l’ho già detto. Ma se ti rivedo trafficare con le mani nel mio “porcellino” non rispondo di me, e forse me ne vado. Tra l’amore eterno e il porcellino porta pannolini usati c’è un mondo di mezzo, una terra nuova e fiorita di vita imprevista: una donna invincibile, e un figlio, anzi una figlia già indispensabile come l’Aurora che illumina la grotta di un passato orgogliosamente solitario (figli? Ma quando mai…). La mia relazione col porcellino è iniziata per colpa sua, di Valeria, come spesso accade quando le donne scoprono le offerte di Prénatal e le giudicano imperdibili, dissolvendo l’ultima immagine di una selvaticità maschile in omaggio alla quale, illuso, vagheggiavo per mia figlia pannolini cotonati da lavare nel Tevere, body in pelle di capra, latte di cerva bianca, immersione in acque sorgive ghiacciate, sonno in culle di giunco intrecciato e, appena possibile, giochi innocenti come il lancio della bimba da una riva all’altra del fiume, legata a un giavellotto.
Il “porcellino” in realtà si chiama “maialino mangiapannolini”, lo produce Foppapedretti, tecnicamente è un contenitore alto e stretto con un coperchio azzurrissimo che copre un foro chiuso da una valvola che si apre a pressione, quando inseriamo appunto i pannolini da gettare via. La doppia chiusura dovrebbe proteggere dall’odore sgradevole dei pannolini che si ammassano in un sacchetto di pellicola a otto strati (fondamentale annodare il sacchetto alla base quando s’inserisce l’anello, altrimenti è del tutto inutile). Silena, su forum.alfemminile.com, lo definisce “un bidoncino che poi butti il pannolino e girando una manovella lo racchiude in un sacchetto che non lascia traspirare gli odori, continui così finché il bidone è pieno… in poche parole nel bidone si forma una specie di salsiccia… capite come? Voi cosa ne pensate? E’ una spesa stupida? Voi dove pensate che metterete i pannolini sporchi… io ci stavo pensando proprio in questi giorni… ”. Non è una spesa stupida (ma le ricariche sono un po’ care), è l’ultima frontiera della civiltà.
Quando si armeggia intorno al fasciatoio, ogni maschio rispettabile e competitivo sviluppa in breve tempo capacità psicomotorie insospettabili, e cede subito alla vanagloria: sessantatré secondi netti per cambio pannolino con doppio bubusèttete… nemmeno mezza lacrima… ma vieni! Ma chi sono! Le donne assistono con uno sguardo a metà tra il motivante e il compassionevole – ne riparliamo al seimillesimo pannolino… – ma poi, giunto il momento-porcellino, cominciano a sospettare: perché ci metti dentro solo quelli con la pipì? Come mai lo guardi come guardavi me al primo appuntamento? Porti più rispetto a quel bidoncino che a me… Un giorno te ne andrai di casa portandoti via Rufus (cane), il tuo assurdo armadio decò e quel porcellino che guai a chi lo tocca se no ti trasformi in un robottino cattivo…
Non possono comprendere: quando un uomo inabile alla concretezza del vivere (grosso modo tutti, nella prima metà della propria esistenza) precipita nel vortice della paternità ed è costretto a misurarsi con il senso pratico (grosso modo tutti, nella seconda metà della propria esistenza), la scoperta di un manufatto creato per risolvere un problema di funzionalità o risparmio di tempo fa lo stesso effetto del fuoco ricevuto dalle mani di Prometeo. Può essere il porcellino mangiapannolini, un set di brucole, un trapano che avvita-svita: presto diventerà il totem della nostra autostima, il pegno d’una seconda possibilità di sentirsi utili, indispensabili, trionfanti sul caso e sulla necessità. I più fortunati di noi hanno un suocero insegnante di Fisica con doti ingegneristiche, e per apprendere qualcosa da lui sarà sufficiente spiarlo fino a riprodurne lo sguardo aritmetico di fronte a un pensile da cucina che attende di essere misurato e appeso con destrezza (io però fingo: sto pensando al contratto da rinnovare a Totti, funziona lo stesso). Gli altri troveranno in sé risorse ancora inesplorate.
L’essenziale è non diventare superstiziosi: un domani anche il porcellino verrà soppiantato da un omogeneizzatore, un marsupio termico, una capsula spaziale per ninnare la piccola. Chissà. Dopotutto la prima vittoria contro l’idolatria è già avvenuta. E’ successo nell’istante in cui sono crollate le certezze di quella prima metà d’esistenza; quando dicevamo che non saremmo mai entrati in sala parto – è roba da donne, giusto se me lo chiede lei… – e invece, tempo dodici ore di travaglio, abbiamo rivendicato una laurea in Ostetricia con specializzazione in Anestesia; o quando assumevamo pose arcaizzanti – una volta nata, l’affiderò alla nutrice di Ulisse e la rivedrò soltanto adulta, di ritorno da Troia – salvo poi gloriarci d’averle insegnato a fare la linguaccia e ripeterci ogni giorno che siamo i migliori nell’addormentarla arieggiando una Pitica di Pindaro (al che la prima a cadere svenuta è Valeria) o sussurrandole “io che amo solo te / io mi fermerò / e ti regalerò / quel che resta della mia gioventù” (stando attenti a non farci sentire dal porcellino mangiapannolini, che è geloso).