Il politicamente corretto con i superpoteri in "X-Men": chi lo sconfiggerà?
In principio c’erano loro. Non Iron Man, non Capitan America, non Thor. E neppure, come è ovvio (sono un gruppo di eroi) gli Avengers. È “X-Men”, diretto nel 2000 da Bryan Singer, il primo film Marvel di successo, dopo anni di B-movie giustamente dimenticati (come un “Capitan America” del 1990 con una giovanissima Francesca Neri). Conosciutissimi fra gli appassionati di fumetti (nel 1991 il primo numero di una loro nuova serie vende negli States sette milioni di copie), sono ancora abbastanza ignoti al grande pubblico: ma il successo di “X-Men” e dei vari sequel li rende popolari. Adesso anche i non appassionati conoscono Wolverine (interpretato da Hugh Jackman) o il fondatore degli X-Men Professor Xavier (Patrick Stewart) e il suo ex amico Magneto (Ian McKellen). Ma il nuovo film, “X-Men - Apocalisse”, sesto della serie (nono se consideriamo i due spin-off dedicati a Wolverine e il film di Deadpool), esce il 18 maggio – nove giorni prima che negli States – in un panorama cinematografico (e non) profondamente cambiato. Dal 2008 la Marvel, comprata dalla Disney, è riuscita a creare al cinema un universo simile a quello dei fumetti (dove tutti i personaggi si conoscono), con tredici film (in estate esce il quattordicesimo, con il mago Dottor Strange) collegati fra di loro, e di grandissimo successo.
Nel recente “Captain America: Civil War” è finalmente apparso Spider-Man, che finora era stato solo in pellicole della Sony. Restano fuori appunto solo gli X-Men, della Fox, con il paradosso che in “X-Men – Apocalisse” c’è il personaggio di Quicksilver (Evan Peters), il figlio di Magneto, già comparso, con diversa origine (e diverso attore, lì era Aaron Taylor-Johnson) nel film Marvel “Avengers: Age of Ultron”. Separati dagli altri film Marvel, gli X-Men non sono più le star di una volta. Ma, per certi versi, anche nei fumetti vivevano in un mondo a parte. “X-Men - Apocalisse” è ambientato nel 1983: è un escamotage di Singer per introdurre versioni più giovani dei vari personaggi visti nel 2000 (gli attori nel frattempo sono invecchiati), ad esempio Xavier adesso è James McAvoy e Magneto è Michael Fassbender, solo Wolverine è sempre interpretato dal solito Hugh Jackman.
Però gli anni Ottanta sono stati anche l’era del grande successo degli X-Men a fumetti, grazie ai testi di Chris Claremont, che scrive le loro avventure dal 1975 al 1991 (e poi torna sui personaggi dal 2000 al 2015, ma con minore verve narrativa).
“Dall’arrivo di John Byrne sul numero 108 nel 1977 siamo sempre andati in crescendo” ci ha detto Claremont. “Dalle lettere che ci arrivavano (sì, in quell’epoca lontana la gente scriveva lettere cartacee) capivamo che la serie era popolare.”
E, per anni le loro vicende sembravano scollegate da quelle degli altri personaggi. I vari Capitan America, Thor, Hulk non apparivano quasi mai negli albi degli X-Men, e viceversa. Gli Avengers se la vedevano con gli alieni Skrull e Kree, gli X-Men nello spazio incontravano solo gli Shi’ar. C’è stata inoltre una mutazione sociale che ha reso una serie da sempre libertaria bersaglio del politicamente corretto.
Gli X-Men fanno parte degli “homo sapiens superior” (non decliniamo le parole latine), il gradino successivo dell’evoluzione della razza umana. Comunemente, sono detti mutanti, e sono odiati e temuti dai sapiens sapiens (i comuni umani) perché temono che li massacreranno come gli uomini di Cro-Magnon hanno sterminato i Neanderthal. Non ricevono i loro superpoteri per un incidente casuale (come essere morsi da un ragno radioattivo per Spider-Man), ma nascono così, con facoltà che sviluppano nel corso dell’adolescenza. I mutanti, metafora di chi si sente “diverso”, non importa se appartenga a una minoranza oppure no, incontrano perfettamente lo spirito degli anni Settanta e Ottanta. Xavier guida la fazione degli “integrazionisti”, che vogliono una pacifica coesistenza con gli umani, Magneto invece non condivide il suo sogno e vuole che i mutanti dominino i sapiens. Molti X-Men sono donne, come la carismatica Tempesta, nera e cresciuta in Africa, come la telepate Emma Frost o la ninja Psylocke.
Lo stesso Milo Manara, famoso per le sue donne fascinose, sette anni fa ha disegnato una storia delle X-Girl, scritta da Claremont. “Lavorare con Milo è stato davvero grandioso” ci ha detto lo sceneggiatore. “Per uno privo di esperienza con i supereroi statunitensi (per non dire quei personaggi in particolare) ha fatto un lavoro fenomenale”.
Però i tempi cambiano: già lo scrittore scozzese Grant Morrison, nei primi anni Duemila aveva cambiato le carte in tavola, con i ragazzi umani che vogliono avere i superpoteri dei mutanti, perché sono “fighi”, e nella serie spin-off “X-Statix” si comportavamo come delle vere e proprie rockstar.
Inoltre, il politicamente corretto, se vent’anni fa poteva essere allegramente sfottuto dallo sceneggiatore Peter David (per essere politically correct i mutanti venivano chiamati “genetically challenged”, “portatori di anomalia genica” nella versione italiana), adesso è sempre più opprimente. Il look delle X-Girl viene adesso considerato dal neopuritanesimo p.c. “sessista” (una recente copertina di Manara per la Marvel è stata censurata); mentre un tempo era anticonformista, il sogno “integrazionista” di Xavier è sempre più considerato “da zio Tom”. Anche la metafora superpoteri-diversità viene sempre meno accolta, il politicamente corretto impone che la diversità (dai soliti “uomini bianchi etero”) sia meno universale e più palese (neri, asiatici, omosessuali, peraltro già presenti in passato fra i mutanti).
Nel nuovo film il cattivo è l’antico mutante Apocalisse, gli X-Men lo combattono per salvare il mondo, ma è molto più facile da sconfiggere del politicamente corretto.