(foto LaPresse)

Non solo soldi. Perché nell'università italiana latitano matricole e ricerca

Luca Gili
Alcune anticipazioni del rapporto Anvur, tra crollo degli studenti negli atenei meridionali, articoli scientifici che non sono poi così tanti o influenti come potrebbe sembrare e tentazione del modello inglese.

L’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della Ricerca (Anvur) ha pubblicato una sintesi del rapporto biennale sulla università italiana, che è stato presentato a Roma dal neodirettore dell’agenzia, lo storico Andrea Graziosi. L’intero documento deve ancora essere pubblicato e si annuncia assai ricco (più di mille pagine), ma i dati resi pubblici meritano già molta attenzione. Il sistema universitario italiano si conferma in grave crisi e, in particulare, i funzionari dell’Anvur confermano quanto già era stato affermato nel volume “Università in declino” (Donzelli), pubblicato lo scorso marzo dalla Fondazione Res e curato dal professor Gianfranco Viesti di Bari: il divario nella qualità della didattica e della ricerca tra nord e sud si sta ampliando. Qualche giorno fa i docenti della Università Federico II di Napoli avevano acquistato una pagina del Mattino per suonare il campanello d’allarme: il sottofinanziamento delle università meridionali comporta che chi intraprende la carriera universitaria al sud avrà meno borse di studio disponibili e, in media, si confronterà con docenti che fanno meno ricerca.

 

Ancora un anno fa il Presidente del Consiglio Matteo Renzi aveva parlato di università di serie A e di serie B, suscitando, come è ovvio, numerose polemiche tra i docenti che aspirano alla Premier League ma non ci giocano. Tuttavia, benché Renzi abbia ragione nel dire che è assurdo pretendere che tutte le università offrano la stessa qualità per quel che riguarda didattica e ricerca, sembra però legittimo protestare, come fanno i docenti napoletani, quando si constata che le scelte del governo stanno trasformando tutti gli atenei del sud in università di serie B. Gli studenti sembrano essersene accorti. Il rapporto Anvur dice che gli atenei meridionali hanno perso il 17 per cento di studenti se si paragonano gli immatricolati tra 2012 e 2015 con quelli del triennio 2007-2010. Meno contenuto il calo al Nord (-1 per cento) e al Centro (-4). Sempre più studenti meridionali scelgono di studiare nel centro-nord.

 

Accanto alla mancata convergenza tra nord e sud, il rapporto sottolinea che tanto resta ancora da fare a livello nazionale. I laureati nella fascia di età tra i 25 e i 34 anni restano pochi: solo il 24 per cento della popolazione, mentre molte nazioni europee hanno percentuali di laureati superiori al 40% (tra le altre, Svizzera, Regno Unito, Francia, Belgio, Olanda e Spagna). Il blocco del turnover ha ovviamente ridotto di molto il personale docente, anche se aumenta il numero dei professori associati. Dal 2005, tuttavia, il rapporto tra docenti e studenti resta pressoché stabile, complice il contemporaneo calo degli studenti. Un docente italiano – esclusi i medici – insegna mediamente poco meno di 120 ore l’anno. L’Anvur evita pudicamente di fare paragoni con il carico didattico di altri paesi avanzati. Negli ultimi anni sono calati i posti di dottorato (da 11.367 nel 2013 a 8.452 nel 2015), ma il numero dei dottorandi con borsa resta all’incirca lo stesso.

 

Non essendo ancora ultimata la valutazione della qualità della ricerca, il documento Anvur fornisce solo indicazioni approssimative sulla ricerca condotta nelle università italiane. Il documento saluta con favore il fatto che l’Italia produca il 3,5 per cento degli articoli scientifici listati nei repertori bibliometrici nel triennio 2011-2014. Ma un rapido sguardo alla tabella dimostra che non ci sono molti motivi per rallegrarsi. La quota di articoli prodotta dai ricercatori canadesi è sostanzialmente identica (3,4 per cento), benché il Canada abbia molti meno abitanti dell’Italia e un pil più basso in valore assoluto. Allo stesso tempo, il Regno Unito, che per numero di abitanti e pil è un paese simile all’Italia, produce ben il 6,5 per cento degli articoli scientifici mondiali. Il rapporto Anvur afferma correttamente che il Regno Unito rimane il leader europeo nella ricerca scientifica (probabilmente il rapporto non si sofferma sulle ancor migliori performance svizzere, perché la Confederazione elvetica non è mai entrata nell’Unione europea). E' noto che il Regno Unito applica da anni un sistema di valutazione della ricerca per ripartire i fondi pubblici tra le varie università. Un breve sguardo ai dati pubblicati dall’Anvur sembra confermare che il sistema inglese è molto efficace nel motivare i docenti universitari a fare ricerca e a farla bene. Il rapporto si conclude quindi con un confronto fra il sistema di valutazione recentemente introdotto dall’Italia e sistemi come quello inglese, implicitamente suggerendo che il lavoro di Anvur può dare un contributo determinante a fare dell’Italia un paese in cui si fa ricerca a livelli degni di un paese occidentale.