A Yale si vuole rottamare Shakespeare e Milton, troppo maschi e bianchi
Roma. “Frequentare per un anno seminari in cui i contributi letterari di donne, persone di colore e queer siano assenti, danneggia tutti gli studenti, a prescindere dalla loro identità”. Picchia duro la petizione degli universitari di Yale per “decolonizzare” da sessismo, razzismo, omofobia e transfobia i corsi di letteratura del prestigioso ateneo statunitense, reo di laureare cervelli convinti che per “studiare letteratura inglese possa bastare leggere autori maschi bianchi”. E, picchiando, propone la rottamazione (nel testo originale si legge un raccapricciante to be abolished) di Chaucer, Spenser, Shakespeare, Donne, Milton, Pope, Wordsworth ed Eliot (cioè i grandi classici), rei non d’aver magnificato l’oppressione delle minoranze, ma del sol fatto d’essere maschi e, per giunta, bianchi. Solo così si farebbe spazio alla letteratura per troppo tempo offuscata dai maschiacci, ormai polverosi e – finalmente – temi come identità di genere, razza, sessualità e disabilità entrerebbero nelle aule in cui si forma la classe dirigente intellettuale americana.
Se studiare Otello, le Lyrical Ballad, il Paradiso Perduto abbia arrecato lesioni all’identità degli studenti di Yale, bisognerà che un’altra università americana lo provi scientificamente (purtroppo non è ipotesi peregrina). Tuttavia, volendo accontentarsi del buon senso, la piena assoluzione arriva dalle colonne di Slate, in un articolo firmato da Katy Waldman, significativamente pubblicato nella rubrica “Cosa le donne pensano davvero”. “Il canone della letteratura inglese sarà pure sessista, razzista, transfobico. Ma dovete studiarlo comunque”, conclude Waldman dopo aver sottolineato la sua ammirazione per la sensibilità multiculturale dei giovani ragazzi e aver ricordato loro che a Yale esistono corsi su artisti africani e asiatici, razza e genere nella letteratura americana, letteratura postcoloniale, rapporto tra scrittori neri e liberalismo, scrittrici dalla restaurazione al romanticismo. E dopo aver sottolineato, infine, che gli autori classici sono tali perché hanno raccontato e rappresentato la condizione umana e non il proprio clan d’appartenenza.
La maggior parte dei personaggi femminili di Shakespeare, fa notare Waldman, non sono tratteggiati assecondando paradigmi rigidi e omologanti, ma con un’attenzione umana e filantropica che li rende complessi come quelli che abitano dentro pagine scritte oggi. Anche all’accusa di “cancellare la storia” Waldman fa il contropelo: “Ci sono state poche scrittrici contemporanee a Chauser e nessuna di loro l’eguagliava in trasgressione e spirito”. Pertanto si studia Chauser perché era il migliore, e non in quanto maschio bianco privilegiato. Migliori non si nasce, ma si diventa: alle donne a lui contemporanee l’accesso a questa possibilità era precluso ed è per questo che nessuna è stata capace di fargli concorrenza. Se Shakespeare e Milton hanno raccontato l’umanità e continuano a farlo, è stato perché non hanno mai contato le gonne e i pantaloni. Non avevano il sessismo negli occhi, diversamente dagli studenti di Yale. “Pecoroni senza creatività”: così li ha definititi il professore (ex Yale) William Deresiewicz, nel libro a loro dedicato. Titolo: “Capre eccellenti”.
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