A sinistra Micromega nuota controcorrente su Erdogan e sharia in Europa
Roma. C’è “il ventennio che non passa”, la “devastazione renziana”, c’è chi sta “dalla parte della giustizia”, cioè dalla parte di Piercamillo Davigo, e chi invece si ostina a seguire “Matteo, il viceré sulle orme berlusconiane”, c’è insomma la solita Italia manicheamente divisa tra “legalità o barbarie” nelle prime 73 pagine dell’ultimo numero della rivista Micromega diretta da Paolo Flores D’Arcais. Poi però, bilancino alla mano, nella stessa rivista spiccano 90 pagine di traversata controcorrente rispetto alla classica riflessione gauchiste su occidente e islam.
Si inizia con il dossier intitolato “La Turchia e l’oppresione islamica”. Perché “era forse solo un’illusione, più che una concreta speranza, quella che molti leader occidentali riponevano nel presidente turco Erdogan. Già da molti anni – almeno dal 2010 – era chiara la piega che la sua politica avrebbe preso”, era possibile intuire “che l’islamizzazione della società turca era alle porte”. Sostiene Nilgün Cerrahoglu, giornalista di Cumhuriyet (quotidiano turco il cui direttore Can Dundar è stato condannato per aver svelato i rapporti tra Ankara e i tagliagole siriani), che le riflessioni di Erdogan sul ruolo della donna ci avrebbero dovuto mettere in guardia da tempo. Dopo l’arrivo al potere di Erdogan e del suo partito Akp nel 2002, “democrazia islamica moderata” divenne “il seducente marchio di fabbrica della Turchia”. “Come slogan di marketing internazionale era perfettamente in linea con lo Zeitgeist, benché in realtà in Turchia non ci fosse nulla di ‘moderato’ né tanto meno una vera ‘democrazia’ – scrive la giornalista – In quanto donna, ebbi per la prima volta la netta sensazione che questa ‘democrazia islamica moderata’ non stava affatto seguendo la strada della moderazione quando Erdogan, nel corso di un incontro ufficiale con le organizzazioni non governative per i diritti delle donne poco prima del referendum del 2010, mise le carte in tavola dicendo di non credere nella ‘parità tra uomini e donne’”. C’erano state già alcune avvisaglie: la proposta del 2004 di trasformare l’adulterio in un reato, cui fece seguito un crescendo, tra pressioni sociali, dichiarazioni governative contro i collegi universitari aperti a uomini e donne, fino alle critiche di uno dei cofondatori dell’Akp per le donne che sorridono in pubblico. Cerrahoglu la chiama “isizzazione” della Turchia, da “Isis”. Il tutto all’interno di una più generale “svolta autoritaria”, per usare le parole di un altro analista, Yavuz Baydar. Come reagisce l’Europa? La redazione di Micromega sintetizza così: “Di fronte a questa Turchia l’Europa è impotente o, peggio, prona. La vicenda Böhmermann ne è una manifestazione esemplare”. Segue la riproposizione integrale della poesia del comico tedesco che ha fatto infuriare Erdogan e spinto Merkel ad avallare l’incriminazione da parte del capo di stato straniero, poi una scoppiettante intervista al comico dissacrante.
Cosa dice tutto ciò di noi europei? Lo spiega Micromega, introducendo un secondo dossier sull’integrazione: “Il dibattito pubblico in Europa è negli ultimi tempi fortemente condizionato da un complesso nei confronti dell’islam al punto che qualunque accenno critico viene immediatamente bloccato in nome del rispetto della religione, dell’antirazzismo, dell’accoglienza dei profughi e tacciato di islamofobia. Un calderone di argomentazioni che rischiano seriamente di coprire con un velo di ipocrisia la realtà”. Realtà da titolo a caratteri cubitali: “La sharia in Europa”. Cecilia Calamani e Federico Tulli parlano di “uno stato dentro lo stato”, le cui prime tracce si trovano “nel Regno Unito, con l’istituzione a Leyton, un quartiere a est di Londra, del primo Consiglio islamico della sharia, una Corte che legifera sui diritti familiari (matrimoni, divorzi, eredità, violenze domestiche) basandosi sulla parola del Corano”. Oggi di Corti simili se ne contano “circa un centinaio attive, che emettono fino a 6-800 sentenze ciascuna l’anno”. Il fenomeno ha contagiato anche la Germania e in misura (per ora) minore l’Italia, assumendo il volto dei matrimoni forzati o con ragazzine minorenni, delle mutilazioni genitali femminili. Al punto che i due autori trattano con sussiego il sindaco di Parigi, Anne Hidalgo, che all’indomani della strage di Charlie Hebdo se la prese con i media statunitensi come Fox News e Cnn che affermavano che “in tutta Europa esistono zone franche in cui ai cittadini di fede non islamica è interdetto l’accesso da parte dei residenti”. Il giornalista pakistano Umer Ali interviene nello stesso fascicolo per dire che “è stata dura accorgersi che la sinistra, invece di educare gli immigrati ai valori occidentali, è la prima disposta a rinunciarvi”: l’abuso del concetto di “islamofobia”, le liste di proscrizione stilate da alcune associazioni antifasciste che mettono in pericolo Ayan Hirsi Ali e altri, lo spazio offerto da certi media liberal ai predicatori più radicali.
Intendiamoci, la tribuna offerta da Flores D’Arcais e colleghi è smaccatamente e dichiaratamente quella di una “sinistra illuminista”, che riserva toni giacobini a tutte le fedi. Ma già aver dismesso il doppio standard relativista che poneva la sola religione cristiana come unico bersaglio polemico è uno scarto non indifferente rispetto al mainstream progressista.