Quegli sguardi sospettosi alla signorina che mangia sola al ristorante
Di sera ho cominciato ad andare al ristorante Io e basta e avanza; una consuetudine che non dovrebbe appartenere ai soli scapoli cinquantenni, ma cominciare a essere praticata con entusiasmo dalle ragazze. Contributo decisivo all’eguaglianza dei sessi? All’emancipazione? Al sacerdozio delle donne? No, alla bottarga. Statemi a sentire, era una bella serata e senza vento. “Che fai Sofia?”. “Ho appena finito di parlare con R. Ora passeggio. Magari vado al ristorante che ho una gran voglia di spaghetti alla bottarga”. “Ma sei pazza? A mangiare a quest’ora da sola? Ma che sei sociopatica? Vieni a cena da me!”, strilla Caterina. “Ti ringrazio ma voglio la bottarga”. “Dai, anche Paolo e Piero ti aspettano, non fare la cretina, vieni!”. Riaggancio. Ecco, avete assistito a quel che accade quando una ragazza annuncia il desiderio di cenare in solitudine al ristorante, di sera. Cosa non si tollera? Che a un uomo o a una donna preferisca un pesce? Il ristorante che mi fa gola si chiama “All’insegna del pesce che ride” e ha della magnifica bottarga; entro, alcune persone buttano d’istinto un occhio su di me e poi ritornano sui piatti.
Il maître mi si avvicina. “Buonasera, per quante persone?” chiede. “Una”. Ricordatevi, lettrici, mai rispondere “solo io” o “sono sola”. La risposta giusta è “una”. “Bene, signora”, risponde il maître accompagnandomi al tavolo. “Signorina”, lo correggo. Siete vistosamente sole e potete pretendere d’essere chiamate ‘signorina’. Ne avete diritto, provateci senz’altro a esigerlo, senza tuttavia far troppo pesare la misconosciuta potenza della parola ‘Signorina’. Il tono di voce che terrete durante tutto questo esercizio di libertà è fondamentale, siate pacate, ma se vi scappa da ridere, fatelo pure. Nel momento in cui al fatidico “quante persone?” del maître rispondo una e richiedo la potestà di signorina, le dieci teste che mi avevano guardato all’inizio e che poi erano tornate più vogliose che mai alla propria bottarga, si girano nuovamente, di scatto. Scrutano i miei passi fino al tavolo in cui mi accomodo, mentre il maître sbrigativamente, come un becchino, fa sparire le posate e il tovagliolo del mio commensale invisibile. Panico, desolazione, morte? Dovrò guardare il vuoto davanti a me con gli occhi sbarrati per tutta la cena? La Via Crucis, il Golgota… e il maître è il feroce centurione romano? Dall’insegna il pesce mi fa l’occhiolino e ridiamo insieme.
Nel ristorante mangiano tre coppie e quattro famiglie. “Guarda mamma, è sola”, bisbiglia una bambina. “Sarà una che sa il fatto suo”, sussurra un signore con il fazzoletto da taschino alla compagna. “Avrà avuto un attacco di fame”, gli risponde la ragazza. “Fa bene!”, commenta un’adolescente con i ricci rossi. “Ma va!”, le fa eco la madre. “Carina così”, ghigna il fratello. Il primo scoglio da affrontare è questo: nessuno può ammettere che sei lì, sola e solo per mangiarti il pesce. Cosa c’è sotto quel pesce grattato? Un’attesa? Un traffico di diamanti. Un incontro lungo il fiume? Siete scrutate, sospettate, giudicate, condannate. Ogni spaghetto che masticate assume un valore sociale e politico, il muoversi di molari e premolari diviene metafora di una dichiarazione di guerra. Altro che signorine, streghe siete. Reagite, combattete, picchiate duro. Fate che l’acquolina in bocca salga, ma tanto, tanto che se vi viene da ridere uno tsunami scaraventa il ristorante sulla piazza. E’ appena entrata la proprietaria del ristorante, scortata da un’allegra compagnia. Per fare gli onori di casa lancia una manciata di acuti. Mi vede, mi guarda, forse vorrebbe venirmi vicino, dirmi qualcosa, ma si ferma. I suoi amici abbassano il tono della voce: alle dieci della sera una ragazza vestita d’azzurro sta mangiando un piatto di spaghetti e bottarga. Una.