New York, il sesso e un prete di nome Abram. Romanzo dell'èra Bergoglio
La donna bellissima che su un cavallo bianco entra nella discoteca della 54esima è Bianca Jagger, la conosciamo anche se il nome non viene detto, era il 1977. L’incontro di boxe nella giungla con tutta Kinshasa che canta “Ali Boma Ye” – i preti della parrocchia lo seguono dalla tv in bianco e nero, con le suore della canonica che preferirebbero un telequiz – è del 1974. Because the night è del 1978. Antonio Monda sa che le citazioni, per trasformarsi in immagini, devono parlare da sole. Poche icone ambientano la New York degli anni 70, quella ancora dura e violenta, anche se disordine e tensione non emergono come in Vinyl, o Taxi Driver. Ma non sono quelli, in fondo, gli abissi di cui va in cerca. Ben più abissali sono i tormenti e le estasi, le dannazioni e le redenzioni (reali le prime, più immaginarie le seconde) che precipitano in un’altalena di inferi e luce la vita di “Abram Singer, sacerdote di Santa Romana Chiesa”. L’indegno (Mondadori, 152 pagine, 18 euro) è il quarto romanzo di una prevista serie di dieci attraverso cui Monda ha deciso di raccontare la saga dell’America del Ventesimo secolo. Ma questo ha per protagonista un prete e la faccenda è un’altra. Abram Singer porta il nome ebreo di un padre artista girovago che non ha mai conosciuto, e una vocazione forse figlia di sua madre. E’ prete cattolico a Manhattan a dispetto dei santi (“sia Dio che il maligno vogliono che tu diventi santo. Solo che il diavolo vuole che lo diventi subito”, gli dice un sacerdote più saggio). Ha una donna che ama e che scopa, senza soluzione di continuità tra l’amministrazione dei sacramenti e il tradimento quotidiano (“so di tradire la mia promessa, di insultare il mio Salvatore”). L’ha fatta anche abortire, s’è fatto anche altre donne, più sordide. Però crede con tutto il cuore alla Misericordia e alla Bellezza e alla Dannazione. E in Dio, ma più a momenti.
Poiché Monda ama le citazioni e il cinema, la donna del prete, Lisa, quando si ammalerà e farà la chemio si metterà una parrucca fulva, come i capelli di Maureen O’Hara in Un uomo tranquillo, il film più cattolico epperò nostalgico di John Ford. E Monda sa che il lettore non potrà smettere di raffrontare il suo padre Abram che si confessa in prima persona, impudico e blasfemo, e il “prete dell’acquavite” del Potere e la gloria di Graham Green – anche lui aveva una donna e una figlia, ma ha paura, lui, a celebrare la messa – divenuto pure quello un film di Ford. E di trarre dal raffronto un’impressione di meccanico, nel dualismo insistito tra grazia e colpa, sesso e vocazione. A Rino Barillari, il re dei paparazzi, una volta chiesero: “Lei è credente?”. Rispose: “Quando sto male. Quando sto bene mi dimentico”. Rispetto a padre Abram e ai suoi “sentii la voglia di pregare, ne ebbi bisogno, ma non ne ebbi il coraggio”, c’è qualcosa di più elastico, insomma di cattolico. E’ difficile sfidare sul ring il nuovo canone occidentale, quello che da Philip Roth a Emmanuel Carrère impone che non si possa parlare di Dio se non col linguaggio del porno, e a volte viceversa. Ma Monda ci tiene particolarmente, al suo prete e alla sua sfida fisiologico-metafisica fatta di schermaglie a guardia bassa tra “il mio cuore che batte forte quando il cazzo mi diventa duro” e “celebrare è il mio modo di sentire che si rinasce sempre”. Tra “lei lo sa quando ho bisogno di sfogarmi: a letto, intendo” e “la sostituisco ogni giorno a Cristo, e mentre lo facciamo penso che il Figlio di Dio è stato uomo”. Questo è don Abram Singer, che ha “paura di questi pensieri: paura, prima ancora che vergogna”.
Ma non è questione del canone letterario occidentale. E il tema non è neppure soltanto il tormento interiore di un sacerdote, con il suo assillo di classificazione morale, o teologica, dei fatti della vita: “Non crediate che con Lisa sia solo amore: il nostro è anche sesso”. Ciò che interessa a Monda – ovviamente supponiamo, ma è ciò che rende interessante il suo romanzo – è un’altra cosa. Se il paesaggio esterno è quello della New York degli anni 70, l’orizzonte mentale di ogni pagina è invece la chiesa di oggi. E nemmeno soltanto quella americana, piuttosto ossessionata dal sesso, come Monda ben sa. L’indegno mette a tema (e se lo fa involontariamente, è miglior letteratura) la grande questione che oggi, più che in passato, sembra impedire a ogni cristiano di vivere, in quanto cristiano. E figuriamoci a essere preti. Insomma il sesso, nel senso del peccato; la menzogna e la purezza, intese come categorie della morale decadute a categorie psichiche. Monda colloca negli anni 70 il suo prete che parla di amplessi come su una chat, ma con i tutti i dubbi religiosi dell’èra bergogliana: si può perdonare, conta più la dottrina o la misericordia, ci salva di più la liturgia o la fede? E’ meglio (ri)sposarsi o ardere? Ma forse c’erano le stesse domande già allora – a un certo punto entra in scena anche l’Humanae vitae – tanto sono sempre le stesse, le domande degli uomini.
Però poi leggi la storia, e pensi che se don Abram è esaltato da tutti i tormenti, e tormentato dalle sue estasi, il problema è che parte dal punto di vista sbagliato. Parte da quello che nessuno ha mai chiesto a un prete di fare: “Io voglio cambiarlo, questo mondo sporco, o almeno cambiare me, che forse è anche più difficile”. Oppure andare in missione “nel fango di Manila”, aiutare i derelitti, servire gli altri. Messo così sembra un buon proposito bergogliano, e invece è un moralismo chiesastico (anche quello molto attuale, in effetti), che ha poco a che fare con la santità del sacerdozio. Ma siccome Abram Singer, come Antonio Monda, come tutti noi, viviamo sotto il giogo del nuovo canone occidentale, e ci siamo convinti che l’unico problema che abbiamo con Dio sia quello del sesso, ed è una granitica convinzione dei preti, o al massimo quello di essere buoni per salvare il mondo – salvarlo noi – il libro ci lascia con il dubbio: basta un prete che fa abortire la sua donna per toccare con le dita la perdizione, o ci sarà gloria per tutti?