Perché di “meridionalismo” si deve continuare a parlare (soprattutto oggi)
Tra la fine dello scorso anno e l’inizio del 2016 il Centro di ricerca per il pensiero meridionalistico Guido Dorso di Avellino ha organizzato una serie di interessanti lezioni sul meridionalismo e sul rapporto tra Nord e Sud nella Storia d’Italia, i cui testi vengono ora pubblicati a cura e con lucida e densa introduzione di Sabino Cassese per i tipi del Mulino. Si tratta di 11 ottimi profili dei maggiori meridionalisti dalle origini al secondo dopoguerra (Villari, Fortunato, Sturzo, De Viti De Marco, Nitti, Gramsci, Salvemini, Gobetti, Fiore, Dorso e Rossi-Doria), scritti da noti e autorevoli studiosi che, pur nella completa autonomia dei rispettivi contributi, costruiscono un mosaico d’insieme dal quale lo sviluppo del pensiero meridionalistico emerge con sufficiente chiarezza nei suoi snodi fondamentali e in quasi tutte le sue storiche componenti. Ai profili si aggiungono tre saggi sulla storia del rapporto Nord-Sud nel secondo dopoguerra (Lepore sulla Cassa per il Mezzogiorno, Giannola sul periodo successivo all’intervento straordinario, Galasso sulla questione meridionale oggi) e un quarto di Guido Melis sulla Sardegna.
Il tutto è introdotto da un conciso, ma completo e penetrante excursus di Piero Bevilacqua sul pensiero meridionalista dalle origini sino a oggi e dalla prefazione di Cassese, che fissa con chiarezza le principali questioni aperte, sia storiche e storiografiche, sia civili, politiche e istituzionali, che nel volume si è inteso analizzare: il variare in un secolo e mezzo di vita unitaria delle dimensioni del divario e delle sue svariate componenti, l’entità delle diversità interne al Mezzogiorno e quindi il proporsi in tempi più recenti non di una, ma di più questioni meridionali e di più meridionalismi, la natura delle cause e le proposte di soluzione susseguitesi nel tempo, infine il ruolo delle istituzioni, sinora incapaci di risolvere la questione neppure in tempi in cui la loro “meridionalizzazione” raggiunse i massimi livelli con presidenti del consiglio come Crispi, Di Rudinì, Salandra, Nitti per restare all’Italia liberale.
Antonio Salandra, presidente del Coniglio dei ministri del Regno d'Italia dal 1914 al 1916
Non è possibile ovviamente scendere nello specifico della molteplicità di figure, momenti e problemi trattati nei diversi saggi. Mi limito a osservare che, fatta la scelta di procedere per medaglioni, sarebbe facile rilevare che manca questa o quella figura, specie se sono assenti personalità del calibro di Franchetti e Sonnino. In realtà proprio in questo caso si può ritenere che la presenza dei profili di Villari e Fortunato sia sufficiente a rappresentare quel meridionalismo che Massimo Luigi Salvadori vide indissolubilmente legato al mito del buon governo. E si può riconoscere che le più significative stagioni e correnti di pensiero meridionalista sono tutte ben rappresentate da figure emblematiche: federaliste e unitarie, liberiste e protezioniste (in questo caso però un pensiero a Napoleone Colajanni non avrebbe nuociuto), radicali e socialiste, comuniste e cattoliche. Tutte, dicevo, ben rappresentate, meno la stagione del secondo dopoguerra. Questa resta affidata in pratica solo all’efficace saggio di Guido Fabiani su Manlio Rossi-Doria e alla parte conclusiva del medaglione di Salvemini del Salvadori. E se la figura di Pasquale Saraceno è parzialmente recuperata nel pregevole saggio di Amedeo Lepore sulla Cassa per il Mezzogiorno (anche se sul Saraceno degli anni Sessanta e Settanta sarebbe bene tornare a riflettere), e se il fronte comunista è rappresentato in appendice nello scritto di Giorgio Napolitano, le esclusioni non solo di Umberto Zanotti-Bianco e di Rosario Romeo, impegnato sino agli ultimi giorni della sua vita nel parlamento europeo a battagliare per il Mezzogiorno, ma quelle di Ugo La Malfa e soprattutto di Francesco Compagna, con la sua rivista “Nord e Sud”, mi risultano assai poco spiegabili.
Giorgio Napolitano, presidente della Repubblica italiana dal 2006 al 2015 (foto LaPresse)
L’assenza di un profilo di almeno uno degli esponenti di quella liberal-democrazia meridionalista che nel dopoguerra condusse una serrata battaglia contro la destra monarchica di Lauro da un lato e il partito comunista dall’altro, contrario all’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno e all’adesione al Mercato comune europeo, mi sembra una lacuna grave che nuoce non poco a una rappresentazione veritiera e equilibrata dello scenario meridionalistico degli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso.
Ciò detto, va reso pieno merito a un’iniziativa encomiabile che trova antecedenti, fatte le ovvie differenze, solo nelle fondamentali, ma ormai lontane, sintesi critiche del Salvadori (“Il mito del buon governo”) del 1962 e di Giuseppe Galasso (“Passato e presente del meridionalismo”) del 1978, ripubblicata con aggiornamenti nel 2005. Come pure va sottolineata la notevole efficacia dei saggi di Melis, Lepore, Giannola, Galasso, quest’ultimo magistrale nell’analisi delle ragioni che negli ultimi decenni hanno reso vano qualunque sforzo per superare il maggiore e più grave problema irrisolto della nostra storia.
Ragioni di natura in gran parte esterna, ma anche e nondimeno interna al Mezzogiorno, a partire dagli errori e dalle insufficienze della sua classe dirigente, politica e amministrativa. Magistrale, lo scritto di Galasso, soprattutto nel ribadire che la questione meridionale non è solo questione del Mezzogiorno e dei meridionali, ma è questione nazionale e di tutti gli italiani, come dicevano i primi meridionalisti Villari e Fortunato, e non semplicemente per ragioni etiche e istituzionali, ma perché senza il rilancio economico e civile del Mezzogiorno non ci sarà mai un vero rilancio dell’Italia rispetto al resto dell’Europa e del mondo, anzi ci sarà una questione italiana in Europa, come in gran parte già c’è.