Marte (foto LaPresse)

Scoperta: anche su Marte c'è il global warming. Sarà colpa dei marziani?

Umberto Minopoli
Sul Pianeta rosso le temperature aumentano come sulla Terra. Lì però non c’è la CO2 prodotta dall’uomo. Questa scoperta ci richiama a una banale constatazione ignorata dall’ambientalismo antiscientifico: la Terra non è un sistema isolato e chiuso. Il clima è la principale interazione tra l’ambiente terrestre e il sistema solare.

Earth isn’t the only planet grappling with climate change” (Washington Times 31 maggio 2016): anche Marte è interessato dal global warming. La notizia ha del clamore. Alla luce delle dispute contemporanee sul climate change terrestre. E delle conclusioni della Cop 21 di Parigi. Anche su Marte, il pianeta più simile alla Terra – per dimensioni, distanza dal Sole, massa, composizione, geologia, inclinazione eccetera – si registra un marcato fenomeno di riscaldamento. Ohibò! La notizia è imbarazzante. Noi, sulla Terra, abbiamo stabilito che i cambiamenti climatici hanno una causa unica ed esclusiva: quella antropica. E’ l’uomo che con le sue tecnologie e modelli energetici e con le emissioni carboniche causa il cambiamento climatico e il riscaldamento. La scoperta del warming su Marte sconvolge questa verità che ha assunto, per noi, l’indiscutibilità di un dogma. Di una verità assoluta. E ci richiama a una banale constatazione ignorata dall’ambientalismo antiscientifico: la Terra non è un sistema isolato e chiuso. Il clima è la principale interazione tra l’ambiente terrestre e il sistema solare. La climatologia “ufficiale”, il pool dominante di esperti e politici dell’Onu che ha imposto la dottrina del riscaldamento antropico, ha generato una raccapricciante distorsione conoscitiva: ha cancellato i fenomeni “naturali” dalle spiegazioni del clima. Per isolare, esclusivamente, a fini di imposizione di determinati modelli di generazione e consumi di energia, le cosiddette cause antropiche.

 

L’articolo del Washington Times rimescola le carte. Ci ricorda, anzitutto, che siamo parte di un sistema, quello solare, interconnesso. E dove tutti i pianeti evidenziano, a gradi diversi, fenomeni comuni, di natura: tra cui cicli, cambi climatici, mutamenti delle temperature. La cui spiegazione risiede nella variabile determinante che regge l’intero sistema: l’attività del Sole. La climatologia “ufficiale”, quella del global warming antropico, deve ora una spiegazione: come escludere che il riscaldamento terrestre non abbia le stesse motivazioni, “naturali” e non antropiche, che ha su Marte? L’articolo del Washington Times, impietosamente, pone la domanda. La scoperta del riscaldamento di Marte è in uno studio recente pubblicato da Science, la più prestigiosa, con Nature, rivista scientifica Usa. Lo studio è stato condotto da un team guidato da Isaac. B. Smith, noto scienziato planetario. Il team ha studiato, per oltre due anni, i dati forniti da un apparato osservativo ospitato dal Mars Reconoissance Orbiter. Si tratta dell’avanzatissima sonda polifunzionale della Nasa impegnata nella più importante missione scientifica del momento: l’esplorazione del territorio marziano in vista del progetto di spedizione umana sul Pianeta rosso. Per gli scienziati della Nasa il fattore determinante del cambiamento climatico su Marte è il tilt, la variazione, in lunghi cicli naturali, delle oscillazioni dell’asse del pianeta: la linea immaginaria che unisce i due poli, sud e nord, passando per il centro. E’ intorno a questo asse che il pianeta compie il suo giro nel moto di rotazione giornaliero. L’asse planetario, per noi sulla Terra, è più noto per gli effetti letterari e di pratica utilità. Consente, infatti, di stabilire la Stella Polare e il polo nord celeste.

 


Marte (foto LaPresse)


 

La Polare è la prima stella che si incontra prolungando, idealmente e in linea retta nel cielo del Nord, quella linea immaginaria. L’asse planetario non è fisso ma oscilla nel tempo: compie un giro e disegna un cono immaginario nel cielo. Per la Terra il giro si completa ogni 25.800 anni. Per questa ragione, pochi lo sanno, la stella polare cambia nei secoli. Oggi è un’umile stella dell’Orsa Minore, la stessa dei Magi e dei racconti dei pirati. Ma tra 13.000 la stella polare sarà Vega, nella costellazione della Lyra, la quinta stella più luminosa del cielo notturno. Ai fini del clima conta però un’altra cosa. L’asse planetario interseca il piano dell’orbita (l’ellissi che il pianeta percorre, intorno al Sole, nel moto annuale di rivoluzione) formando un angolo. Che per nessun pianeta è perfettamente retto, a 90 gradi. E’ quest’angolo che determina le stagioni e il clima. Da esso dipende, infatti, l’estensione di territorio planetario che riceve la radiazione solare in linea retta: è questa geometria che determina l’estate o l’inverno. Non, come si potrebbe credere, la maggiore vicinanza o meno del pianeta al Sole durante la sua orbita ellittica. Le variazioni angolari cicliche, nel tempo lungo, dell’asse planetario, il tilt, sono la spiegazione, secondo la Nasa, del climate change di Marte. Vale per Marte e per ogni altro pianeta, Terra compresa. E non basta. Il rapporto tra il clima e la geometria variabile nel tempo dell’asse e delle orbite dei pianeti, in relazione al Sole, è ancora più complessa. Occorrerebbe considerare, infatti, le conseguenze, determinanti e prevalenti, del lavorio del Sole sulle temperature dovute a una serie di effetti naturali cumulati: l’inclinazione dell’asse, appunto; l’eccentricità dell’orbita (l’ellisse, più o meno, perfetta che il pianeta percorre); la precessione dell’asse (il cono che l’asse disegna ruotando).

 

La combinazione di questi tre fenomeni naturali cambia secondo cicli predeterminati dell’ordine di centinaia di migliaia di anni. Essa è la vera determinante del clima, nel lungo periodo, secondo la teoria dei cicli di Milankovic, dal nome dell’astrofisico serbo che, per primo, la indicò già negli anni Venti.E’ tale combinazione tra effetti solari e geometria dell’orbita dei pianeti che determina, nelle lunghe epoche planetarie, l’alternarsi di glaciazioni e riscaldamento. Ma il sole determina il climate change non solo attraverso i cicli di lungo periodo di Milankovic. Lo fa anche attraverso i cicli, di breve periodo, della sua attività: la quantità effettiva e variabile di radiazione che la nostra stella trasmette e di cui sono segnale evidente le macchie solari. Piccole variazioni dell’attività solare- quantità di energia irraggiata, vento solare, effetti sui campi magnetici- possono determinare ingenti variazioni del clima. Esse determinano, infatti, drastici cambiamenti in quelle variabili del trasporto del calore nel macro-ambiente terrestre (esempio le correnti oceaniche, la circolazione marina, l’andamento dei venti, la circolazione atmosferica, la nuvolosità eccetera) che alterano significamente il clima del pianeta. Uno studio, riportato sulla rivista Le Scienze (marzo 2014), di climatologi inglesi ha richiamato la centralità dell’attività della nostra stella nella determinazione dei modelli climatici e ha ricostruito la serie storica che ne dimostra l’evidenza. Insomma: la climatologia “ufficiale” del warming antropico e delle colpe della CO2 non dice l’intera verità. Forse la verità, come sempre per le cose di scienza, è… nelle stelle.

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