Kristen Stewart al Festival di Cannes (foto LaPresse)

Ricordarsi all'improvviso quanto s'adatta a certi attori italiani il "medusa dialogue"

Mariarosa Mancuso
Il “medusa dialogue” trasforma gli attori in pietre, come lo sguardo della creatura mitologica. Riemerge anche un elogio dell’andare al cinema da soli, scritto da Chris Randle sul magazine del New York Times.

Il passaggio dai taccuini a una sofisticata App per tenerci gli appunti poco cambia. Non troviamo mai quel che andavamo cercando. Non è il mezzo antico o moderno, è la classificazione che fa difetto: come avrò mai archiviato la tal cosa? (ovvio che non ricordiamo neppure un nome proprio che potrebbe brillantemente risolvere il problema). Saltano invece fuori cose annotate e poi dimenticate. Come il “medusa dialogue”, venuto in mente a un critico, e subito rubato perché utilissimo per illustrare la recitazione di certi attori italiano. Il “medusa dialogue” trasforma gli attori in pietre, come lo sguardo della creatura mitologica. Altra nota – questa volta un titolo acchiappato al volo durante il festival di Cannes: “La verité est tailleur”. Dove “La verité est ailleur” è la traduzione francese di “La verità è là fuori” (slogan che lanciò, e continua a lanciare, la serie “X-Files” con David Duchovny e Gillian Anderson). E la battuta colpisce a morte il film di Olivier Assayas “Personal Shopper”, con Kristen Stewart (già fidanzata del vampiro vegetariano in “Twilight”). La ragazza lavora appunto come personal shopper, si diletta con lo spiritismo (aveva un gemello ora morto, erano d’accordo che il primo a trapassare avrebbe mandato un saluto all’altro). Già ci sarebbe da ridere, anche senza vedere gli abiti da sera Chanel – la ragazza è testimonial della casa – appallottolati e ficcati in un sacchetto da trasportarsi in motorino nelle strade di Parigi.

 



 

Riemerge anche un elogio dell’andare al cinema da soli, scritto da Chris Randle sul magazine del New York Times. Fa lo scrittore, rimane solo in casa per ore e ore: andare al cinema gli consente di vedere gente senza prendere appuntamenti e rimanere invischiato in conversazioni noiose (e, garantisce, fa perdere meno tempo dei social network). Osserva i pomicianti dell’ultima fila – garantisce che esistono ancora, avremmo giurato che no, ma evidentemente frequentiamo poco le sale con il pubblico pagante. Ascolta quelli che commentano la trama o se la spiegano tra loro (questo succede anche ai festival, se il vicino non zittisce per leso capolavoro). Non gli danno fastidio neppure gli spettatori che parlano ad alta voce, come se fossero sul divano di casa. Ostenta calma olimpica verso chi apre rumorosamente confezioni di biscottini.

 

Insomma, si guarda in giro (a volte lo spettacolo migliore non è sullo schermo). Prende a testimone Orson Welles, quando entrava al cinema senza badare all’orario di inizio. Ora non si può più, lo abbiamo sperimentato. La macchinetta non sputa il biglietto, anche se in sala ci sono solo tre spettatori. Anche questo lo abbiamo sperimentato, dopo aver convinto la cassiera a emettere il biglietto per lo spettacolo successivo, facendoci entrare lo stesso. In sala c’erano tre tristi spettatori.

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