Pagina 69
“L'uomo del futuro” non è esattamente il rinascimento del romanzo italiano
In “L’uomo del futuro” di Eraldo Affinati, la pagina 69 – suggerita per il carotaggio letterario da Marshall McLuhan, lo studioso del villaggio globale che Woody Allen invoca mentre sta in coda al cinema, per zittire un professore che pontifica – è in realtà mezza pagina, a chiusura di capitolo. Racconta gli studi liceali (a Savona, dove lo avevano mandato per problemi di salute, ospite da una zia) di Lorenzo Milani, che poi fonderà la scuola di Barbiana e con “Lettera a una professoressa” si guadagnerà un posto d’onore nella pedagogia alternativa.
Lo sappiamo dalla scritta in copertina, “Sulle strade di Don Lorenzo Milani” (a tener lontani i lettori di fantascienza). Il giovane aveva avuto in casa la prima educazione, al liceo fu rimandato con tre in italiano e quattro in latino. “Nell’anno scolastico 1939-’40, mentre le truppe hitleriane d’intesa con quelle staliniane si spartivano la Polonia, rischiò di abbandonare gli studi”. Tutto vero, ma in linea con il modello “era scarso in matematica, da grande scoprì la relatività” (e lo sfondo storico dà respiro). Supera gli esami ma rifiuta l’università. A chi glielo chiede, risponde che farà il pittore. Fine della pagina 69, prima constatazione. In Italia i romanzi ormai li scrivono in pochissimi, vanno più le forme ibride oppure l’autofiction, e la tendenza è registrata puntualmente dalla cinquina dello Strega. Oltre alla biografia – d’autore, con qualcosa in più: come da risvolto a capitoli alterni Eraldo Affinati racconta altre scuole di Barbiana – abbiamo il memoir di Vittorio Sermonti “Se avessero”. Edoardo Albinati scrive oltre mille pagine, e mette su internet la versione integrale di un quaderno scolastico: mossa più da fabbricatore di opere-mondo che da romanziere.
Passiamo dunque a pagina 99, esame di riparazione suggerito da Ford Madox Ford (romanziere britannico che adottava la lezione di Gustave Flaubert: il romanzo deve dare l’illusione della vita in presa diretta, quindi i narratori devono stare dietro le quinte, guai a mostrarsi o peggio interloquire con il lettore, come facevano i vittoriani). Il narratore qui si manifesta, osserva un bambino in una carrozzina, lo paragona a un paggetto in un dipinto settecentesco. Poi torna a ragionare sui fondamenti dell’esistenza. Dio è stato nominato a inizio pagina, qui ci sono le dovute cautele: “Nessuno può riuscire a nominare con leggerezza quel fondamento, è terreno minato, se lo attraversi potresti esplodere, oppure uno sconosciuto potrebbe abbracciarti senza motivo apparente”. Il lettore è avvertito.