Bud Spencer
L’elenco dei suoi film – più di cento – fa ripensare al cinema italiano che lavorava come un’industria e aveva un pubblico degno del nome. Puntualmente snobbato: il David di Donatello alla carriera, per Bud Spencer (assieme a Terence Hill) è arrivato nel 2010.
L’elenco dei suoi film – più di cento – fa ripensare al cinema italiano che lavorava come un’industria e aveva un pubblico degno del nome. Puntualmente snobbato: il David di Donatello alla carriera, per Bud Spencer (assieme a Terence Hill) è arrivato nel 2010. Gli incassi da record e i successi internazionali cominciano nei 70. Basta il primo film della non ancora coppia – nei crediti sono Carlo Pedersoli e Mario Girotti – per capire che tutto poteva succedere e tutto allegramente si mescolava. L’alto e il basso, Hollywood e il Tevere, progetti seri e film barzelletta. Era il 1967, il regista italiano Carlo Ludovico Bragaglia (curriculum: telefoni bianchi & Totò) faceva a sua volta coppia nei crediti con Edgar G. Ulmer (curriculum: film in lingua yiddish, il noir “Detour”, e poi lo sbarco a Cinecittà). “Annibale” era il titolo della pellicola, naturalmente c’erano gli elefanti. Poteva succedere anche che un campione di nuoto avesse una particina come attore, disputandosi una fidanzata con Alberto Sordi (il film era “Un eroe dei nostri tempi” di Mario Monicelli, 1955).
E che al cinema arrivasse per restarci una decina d’anni dopo, dopo un giro tortuoso. Andò in Sudamerica, firmò un contratto con la Rca per scrivere canzoni e colonne sonore, si sposò con Maria Amato, figlia del produttore Peppino Amato (i suoi svarioni sono raccolti da Ennio Flaiano, spassosi perché il cinematografaro napoletano parlava a orecchio: “Sporadico” invece di “spasmodico” o “Bella come la Venere del Nilo”). Cambiò nome, imparò a cavalcare, si fece crescere la barba – dopo aver contrattato sull’ingaggio, aveva qualche cambiale scaduta – e nel 1967 girò “Dio perdona… io no!” diretto da Giuseppe Colizzi (il pubblico si acchiappa fin dal titolo). La coppia messa insieme per caso (Terence Hill era un sostituto promosso protagonista all’ultimo momento) funzionò subito benissimo. Ancor prima che Bud Spencer assumesse l’aria da orsacchiotto che aveva negli anni 90, quando diventò una star della tv con “Detective Extralarge”. Bud Spencer avrebbe dovuto far da spalla – il bello era l’altro, che per di più aveva frequentato una scuola di recitazione.
Con la simpatia di chi recita per divertirsi, senza prendersi sul serio, si piazzò al centro della scena. Riuscì a trasformare in oro quasi tutto quel che toccava, conquistando perfino il Giappone, oltre al Sudamerica. Lo applaudivano i bambini, i nonni, tutti i maschi che stavano in mezzo (un po’ più freddine solo le ragazze). Piaceva a chi andava al cinema solo il sabato sera, e a chi di nascosto per lui tradiva il cineclub. Con gli anni 70 esplode la saga iniziata da “Lo chiamavano Trinità”: altro regista, altro pseudonimo esotico (Enzo Barboni si faceva chiamare E.B. Clucher), più tutti i seguiti che servirono per esaurire il fortunato filone. Sempre meno western, sempre più miniarmata brancaleone, fino a perlustrare l’intero territorio della farsa. In libera uscita dalla coppia, Bud Spencer sarà “Piedone lo sbirro”, poliziotto napoletano dal pugno che non perdona.
Universalismo individualistico