Il Figlio
Nella sabbia a faccia in giù per una pallina. La fortuna di perdere
Nel posto di mare c’è una macchinetta rossa per vincere le palline di gomma. Si infilano cinquanta centesimi, si gira la manopola e si impugna il volante, perché sta per arrivare una pallina che bisogna guidare fino al traguardo evitando le buche. Se la pallina cade in un buco, è persa. Se invece arriva fino al buco giusto, dopo il percorso pieno di ostacoli, allora uscirà da un cancelletto e sarà per sempre sua. Nelle sue mani insabbiate, mentre la bacia e saltella ed è contento perché non aveva ancora vinto una pallina trasparente con dentro un pesciolino rosso che nuota nella gomma. Quando invece la pallina cade nel buco sbagliato, perché alla curva stringe troppo, lui si dispera e tira la sabbia. Ha un problema con la sconfitta, penso, non regge la competizione, se perde anche a biliardino la giornata è rovinata, se non pesca nemmeno un granchio dirà che vuole tornare a Roma. Ma hai un cesto a casa pieno di palline, gli dico, vinci sempre. Non le conto, perché allora dovrei contare anche i tatuaggi, i lecca lecca, gli elastici per fare i braccialetti, le cose comprate e subito perdute, rotte, dimenticate. Come le cose che ho perduto e rotto o non ho mai fatto, o non ho curato, ho lasciato andare.
Nel mare di idiozie che ogni giorno pretende, con gli occhi già pieni di lacrime e di ingiustizie inventate, la pallina è la più bella. Tonda, liscia, di gomma piena, rimbalza molto ed è uguale alle palline di tutti i tempi delle palline. Non parla, non suona, non fischia, non muove le orecchie, non nitrisce, non le si accende nessuna luce, non dice mamma. Rimbalza, poi rotola in qualche angolo, o in qualche tasca, infine nel cesto e sta lì, muta. Nessuna vite arrugginita, nessun braccio staccato, ruota saltata via, odioso pupazzo con i ciuffi di peli che si staccano. Non ha bisogno di cure, è solo una pallina di gomma. Sarebbe facile se ogni scelta fosse una pallina. Sarebbe facile una vita adulta fatta di palline rotonde, senza angoli in cui nascondere niente. Anche se, dopo che ha rimbalzato un paio di volte, dopo che hai contato tutte le palline del cesto e fatto la classifica delle dieci palline più belle, dopo che hai imparato a fare il giocoliere con due palline, con una pallina che ci fai? E dentro una vita, con palline tutte uguali che ci fai? Niente, te le metti in tasca, però vincerle è importante. Lui ha sei anni e si fida completamente di sua sorella, sa che lei vincerà sempre una pallina. Perché ha nove anni e fa la lotta con i maschi più grandi, ma soprattutto perché ha imparato il trucco della pallina. Glielo ha insegnato un bambino delle medie, un pomeriggio in spiaggia, come premio per avere buttato nella sabbia un suo nemico.
Io non incito i ragazzini alla lotta, ma sono segretamente contenta di una bambina che sa fare a botte. Non mi importa se è sbagliato: quel bambino aveva una bandana in testa e anche il padre del bambino aveva una bandana e facevano i duri e comunque lei gli ha solo fatto uno sgambetto mentre lui la spingeva, ho visto mentre facevo finta di non vedere. Se un bambino con il teschio sul costume da bagno piange perché cade nella sabbia e corre dal padre con la bandana che senza togliersi la bandana va a cercare il colpevole e si trova davanti una bambina magra come un chiodo, con la coda di cavallo e un granchio in mano e non sorride ma la sgrida gesticolando e toccandosi la bandana, allora io non dirò niente, non litigherò con un padre con la bandana né con nessun altro, ma darò a lei altri cinquanta centesimi per la pallina. Mi ha spiegato il trucco: non bisogna fare tutto il percorso a forma di serpente, perché ci sono molti buchi lì intorno e si rischia di finirci dentro. A metà strada, invece, bisogna dare uno strattone al volante, verso il basso: fare saltare la pallina direttamente alla fine del giro, evitando l’ultima curva. Non è barare, perché anche nel salto ci sono rischi. Ma se vinci con il salto, tutta la spiaggia ti rispetterà e ti regaleranno i granchi.
A volte il salto non riesce, come quello di Jennifer Grey in Dirty Dancing: ogni estate lo ridanno in televisione e ogni estate quella sera io resto in casa e tolgo i cartoni animati, vedo il sedere di Patrick Swayze dentro i pantaloni neri da ragazzo di periferia che insegna alle signore vecchie (come me, ora) del villaggio a ballare, e ogni volta penso: che bel sedere. E subito dopo: adesso lei sbaglia il salto. Lei impara a ballare in due giorni e sta a piedi nudi su un tronco d’albero capovolto. Quando avevo dodici anni qualcuno di adulto e cinico mi disse che Jennifer Grey in Dirty Dancing aveva in realtà ventisette anni, e nel 1987 mi sembrò orribile che fosse così mostruosamente vecchia. Baby doveva avere diciassette anni e non saper ballare: invece era una ballerina professionista di ventisette anni. Per molti anni non ho più guardato Dirty Dancing, ero disgustata dall’età e dall’inganno. Detestavo quella verità: speravo che il mio sconvolgimento fosse un po’ anche il suo, e che prima di quell’estate nel villaggio vacanze non avesse mai fatto il salto.
Che assomiglia al salto della pallina, senza musica e abiti da ballo, ma anche lì c’è la gente che guarda: gli altri bambini, anche quelli che hanno fatto l’esame di terza media ma sono curiosi del salto. La bambina magra con le lentiggini è concentrata, esaltata, dice: fratello stai tranquillo ce la faccio, te la vinco. Lei sa che lui piange tutte le volte che perde. Quindi spesso lo fa vincere apposta, a biliardino si tira i gol da sola in porta, a nuoto resta indietro, e quando pescano i granchi gliene mette un po’ nel secchiello di nascosto. Poi a me dice che tanto a lei non importa, lo sa che è più forte, dice anche: lo so che mi vuole bene anche se mi dice sempre di no. Lei è saggia come se fosse su questa terra da ottant’anni, a lui va benissimo anche vincere per finta, non gli interessa la verità. A lui non importerebbe niente di Jennifer Grey, che aveva già ventisette anni, era una vera ballerina e aveva fatto un milione di volte quel salto. Ha un unico pensiero, semplicissimo, perfino puro: vincere la pallina. E’ tutto rosso in faccia, sudato, al collo ha una collanina con una lucertola e addosso una fiducia totale verso la promessa della sorella. Lei infila i cinquanta centesimi, la pallina esce, lei la guida sicura con il volante. Ha un costume da bagno a righe e un braccialetto alla caviglia con i campanellini che suonano come il collarino di un gatto, è scalza e le si vedono le costole.
Io sto come in Dirty Dancing quando lui va dal padre a dirgli: “Nessuno mette Baby in un angolo”, ma fingo che non me ne importi niente, anzi dico con aria esasperata: sbrigatevi, dobbiamo andare a casa. Ma vorrei che tutti vedessero quanto è brava mia figlia a vincere le palline, soprattutto quel padre con la bandana, vorrei che si sentisse umiliato e si strappasse dalla testa la bandana. La pallina di gomma arcobaleno scivola verso la curva, supera il pezzo facile, quello con pochi buchi, sembra Baby che balla con il vestito bianco, adesso è il momento del salto, il fratello piccolo è diventato fosforescente, saltella da un piede all’altro. Quella pallina adesso è tutto: è l’estate, è la fiducia, la fortuna, l’amicizia, la pace. Lei fa lo scatto con il volante, prima in alto e poi in basso, ma la pallina si incastra nel vetro e poi si tuffa in un buco, è persa, proprio persa mentre lui aveva già la mano pronta, a conchiglia. Questa estate andrà uno schifo. Maledetta pallina, maledetta Jennifer Grey, che poi chissà dove sei finita ma di certo hai sbagliato tutti gli altri salti. Non voglio sentire il pianto adesso, un figlio che non accetta la sconfitta, voglio andare a lavorare subito. Ecco il padre con la bandana, il figlio con la bandana, vengono a ridere di noi, agitano due monete da cinquanta centesimi. Ora gli dico che quella volta in spiaggia l’ho visto, che prendersela con una bambina è penoso e anche fare la spia, ragazzino con la bandana, non è da pirati con il teschio sul costume da bagno.
Ho pronta la faccia dura, mi rimetto gli occhiali da sole. E quello invece va dalla bambina, le dà una moneta, le dice: dai riprovaci, facci vedere il salto, e se la vinci è tua. Il padre mi sorride, se non avesse quella cosa in testa avrebbe un bel sedere, l’avevo notato dal costume da bagno mentre sgridava mia figlia. Lei stavolta vince la pallina, ma la gioia è sciupata perché non c’è più pubblico, sono andati tutti via delusi, nessuno ha più voglia di vedere il salto. Sono rimasti soltanto i due con la bandana e sei rimasto tu, tutto rosso: non ti importa niente del pubblico, niente di niente, della verità, delle bugie, dei granchi messi di nascosto nel tuo secchiello, delle bandane, solo di non perdere. Agguanti la pallina, non ringrazi nessuno, ti butti nella sabbia a faccia in giù e urli: ho vinto.
(la prima versione di questo racconto è uscita su IL del Sole24Ore)