Al posto delle racchette, violini e pianoforte. Quanto tennis c'è nella musica

Mario Leone
L'Orchestra e Coro di Santa Cecilia suonerà questa sera al Campo Centrale del Foro Italico a Roma la Nona Sinfonia di Beethoven per ribadire un concetto semplice: la musica si può e deve essere fatta ovunque.

Ricordo bene le prime lezioni di pianoforte. Ero poco più che un bambino. Occorre disciplina per potersi sedere di fronte alla tastiera zebrata. Le raccomandazioni del maestro sono chiare: “Studia ogni giorno, anche i giorni di festa”. “Fa’ gli esercizi di rilassamento, le quattro dita e le scale”. Nei pomeriggi pieni zeppi di cose da fare, tra compiti, catechismo e, appunto, il pianoforte, lo sport diventa un lusso quasi impossibile. Pallavolo no, ti massacra i polsi. Niente box: ti distrugge le mani, rischio infortuni troppo alto. Calcio: pericoloso per i piedi (“ma come non si suona con le mani il pianoforte? – mi chiedo – No! devi da subito imparare ad usare i pedali”, mi si dice) e in ogni caso, in porta, mai. Il tennis? Innominabile. Il gomito del tennista per un musicista è simile, per gravità, alla gastrite per un cuoco o all’alluce valgo per una fotomodella. Esclusi anche gli sport estremi, la danza classica e le discipline orientali, il ventaglio delle alternative spazia dalle bocce con il nonno agli scacchi con lo zio intellettuale.

 

Eppure pratica sportiva e musicale hanno non pochi punti di contatto. Curioso che la lingua inglese utilizzi lo stesso termine per indicare il giocare a tennis (play tennis) o suonare il pianoforte (play piano). Anche i cugini francesi [jouer], così come i tedeschi [spielen] utilizzano il medesimo verbo per indicare un pomeriggio in un campo di calcio oppure alle prese con le Sonate di Beethoven. L’hanno capito bene l’Orchestra e Coro di Santa Cecilia che propongono mercoledì 5 luglio 2016 al Campo Centrale del Foro Italico a Roma la Nona Sinfonia di Beethoven. Un progetto originale e avventuroso. Pieno di rischi ma che ribadisce un concetto semplice:  la musica si può e deve essere fatta ovunque. E poi musica e tennis condividono molti e poco conosciuti aspetti comuni.

 

E’ il 1912. Il compositore Claude Debussy è all’apice della fama. Diaghilev, l’importante creatore e direttore dei ‘Ballets Russes’, amico di Stravinsky, ha necessità di una musica che possa accompagnare un balletto ispirato al gioco. Nasce così Jeux, poema danzato che accompagna il gioco di due ragazze e un ragazzo con una palla da tennis. La musica che Debussy compone è di rara finezza e sottile grazia. Non viene compresa. Ai fischi in sala e alla freddezza dei più clementi si unisce la completa dimenticanza in cui cadrà l’opera di lì a poco.

 

Musica e gioco, musica e tennis. Due discipline apparentemente distanti eppure, come testimonia Debussy, così simili. L’avevano capito bene i due amici compositori George Gershwin e Arnold Schönberg, ottimi giocatori di tennis e amici-nemici sul rettangolo di gioco. I loro incontri iniziavano o si concludevano sempre con una partita sulla terra rossa. Ma cosa accomuna tennis e musica?

 



 

Prima di tutto la solitudine. Il tennis e la pratica strumentale richiedono un completo e totale isolamento, anche quando si svolgono davanti a tante persone. Sei solo contro il tuo avversario, o “contro” il pubblico, sei solo contro il tuo corpo che non ha diritto di lamentare stanchezza, paura o debolezza. Sei solo con la tua anima: chi ha visto qualche partita di tennis o un solista in concerto, avrà notato più o meno espliciti labiali sulla bocca dei protagonisti.

 

Il ritmo. Il tennis come la musica si fonda sul ritmo e sulla sua rottura. In musica è decisivo per una esecuzione corretta, profonda, ma anche per discostarsi dal ritmo stesso. Nel tennis è fondamentale per non sprecare inutilmente energie, “logorare ai fianchi l’avversario” e darsi un ordine. È fondamentale che il ritmo, in musica come nel tennis, sia all’interno del protagonista. Al cuore che batte all’impazzata, si deve contrapporre un battito di fondo e un respiro controllato che non consegni a chi ti guarda/ascolta un colpo/un’esecuzione “nervosamente velocizzata”. Se nel tennis e nella musica perdi la testa è finita, come descritto da David Foster Wallace in “Tennis tv trigonometria tornado e altre cose divertenti che non farò mai più”.

 

Precisione. La distanza tra un tasto e l’altro del pianoforte o la posizione sulla corda di un violino (un millimetro più su o giù) determina l’esecuzione o meno della nota giusta. Ne determina l’intonazione. Così è per i tennisti. Il colpo perfetto è quello al limite tra la riga bianca e il rosso della terra. Il colpo che non sai mai se sia dentro o fuori. Il colpo perfetto però si genera dal colpire la pallina nel punto esatto. Una questione di “micrometri” direbbe sempre Wallace. 

 

Play tennis, play piano. In entrambi i casi, l’arte del gesto è fondamentale. Un gesto fatto in maniera errata, troppo lento o troppo affrettato, rigido o rilassato cambia completamente l’interpretazione. La gestualità non è solo durante l’esecuzione ma anche quella che precede il colpo, o l’attacco di un brano.

 

Infine il silenzio. Durante un concerto o durante uno scambio tra due tennisti il pubblico è in silenzio:  stima e rispetto verso quello che succede in campo, coscienza di stare davanti a qualcosa di grande. 

Di più su questi argomenti: