Il Figlio
Il teatro del perfetto papà moderno è una spiaggia affollata
La ragazza sulla spiaggia è bella e gioca con sua figlia, che sta imparando a dire mamma, a prendere la sabbia in mano, a toccare l’acqua con i piedi. La bambina lancia piccoli urli di gioia e tutti si fermano a guardarla: già si mette in posa, a nove o dieci mesi, non può averne di più, mentre la mamma seduta sulla sabbia accanto a lei le scatta foto con il telefono. La mamma la chiama per nome, sorridendo con dolcezza, con quella totale dedizione amorosa e stupita che i bambini piccoli calamitano a sé, lei gira la testa, spalanca ancora di più lo sguardo e resta ferma il tempo necessario alla foto. Poi ricomincia ad accarezzare la sabbia, a cercare di infilarsene il più possibile in bocca. E’ una bambina nuova, appartiene al mondo nuovo, sa toccare uno schermo per ottenere luci e suoni, sa fissare con intensità quei cosi che tutti, anche i nonni, gli amici dei nonni, i bambini grandi, le puntano addosso per avere un sorriso, una guancia morbida, una foto del costumino con i cocomeri. Lei ride e non è un artificio, è la sua vita nuova, è come ridere per il solletico. Noi ci stupiamo perché i telefoni ce li siamo conquistati, abbiamo costruito una vita insieme a loro, e ci tormentiamo perché è troppo, o è troppo poco, non siamo naturali, vorremmo farne a meno, oppure non siamo abbastanza bravi e veloci e diventiamo nervosi e non sappiamo in nessun caso metterci in posa, passiamo ore a provare sguardi lontani e sorrisi altrove. Lei no. Lei è soltanto felice di essere viva e di mettersi in posa, è uno stato del corpo, è come infilarsi in bocca la sabbia. Ma ecco, arriva il padre. Ha addosso molti tatuaggi e piscinette gonfiabili e salvagenti a forma di cavalluccio marino con le maniglie, e un ciuccio di gomma viola. Ha fatto quasi a pugni con un venditore ambulante che gli aveva rifilato, ripete alla moglie, una piscina rosa già bucata e non voleva cambiargliela. Allora gli ho detto: ti buco tutte le piscine. E lui amore che ti ha detto? Lui allora è scappato con il carretto e tutto.
La ragazza ride, la bambina ride, il padre non si è accorto di essersi scottato i tatuaggi e forse ha davvero voglia di una scusa per fare a pugni, ma subito vede sua figlia, lì nella sabbia, una cotoletta di sabbia che ride, e si ricorda di essere un padre moderno e perfetto in mezzo ad altri padri moderni e perfetti.
La spiaggia durante il fine settimana è il palcoscenico dei padri moderni e perfetti e dediti al divertimento, alla cura, alla difesa, al bagnetto, alle nuotate, al biliardino, al gelato, all’asciugatura e alla competizione con le madri dei loro figli. Il padre tatuato solleva la bambina dalla sabbia, la fa roteare sopra i tatuaggi, le canta una canzone, la avvicina a sé in modo che lei possa afferrargli la barba, le sistema il cappellino, che le tenga bene in ombra le guance morbide, le toglie la sabbia dal naso, dice: non si può lasciarvi sole un attimo che guarda come vi ritrovo, e si mette la bimba a cavalcioni sulle spalle, dopo avere consegnato alla moglie l’intero armamentario di piscine e ciucci e salvagenti. Con questa bambina sulle spalle lui adesso è il padrone della spiaggia. Chiacchiera con gli altri padri e intanto balla perché così la bambina è più contenta. Se qualcuno vuole parlare con lui deve accettare il ballo, prendere magari una pasticca per il mal di testa, perché questo padre non smetterà di ballare fino a che la spiaggia si sarà svuotata, il sole sarà tramontato e la bambina avrà mangiato la pappa della sera: la pappa gliela dà lui, cantando tutta intera e a ripetizione, fino a quando il piatto è pulito, la canzone dei Puffi. Ma sei sicuro che sia necessario? Voglio dire, forse mangia anche senza canzone, mangia perché ha fame, ti puoi riposare la gola. Il padre tatuato quella sera, durante la pappa, mi ha guardato come se io gli avessi confidato che traffico in organi di bambine di dieci mesi, così sono scappata a cercare qualcuno senza figli con cui parlare, un uomo che parlasse di calcio perfino, o almeno un padre confuso, che non sapesse quanta tachipirina dare a una bambina di ventidue chili con la febbre. I padri confusi, ho scoperto, mi fanno sentire più sicura di qual è il mio posto nel mondo. Però adesso, in spiaggia, mi guardo intorno ed è domenica: un padre è sdraiato nella sabbia, sta costruendo una pista per le biglie dei suoi due figli maschi. Un altro è in mezzo al mare che agita un telefono e richiama a riva la figlia di tredici anni sul materassino: forse è successo qualcosa. Infatti sta gridando: Virgi, Virgi, hai venticinque WhatsApp e dodici Instagram! C’è poi un padre che è corso al bar perché il figlio di nove anni ha urlato che ha sete ma sta giocando a racchettoni e non può muoversi. Il padre va al bar, torna con un succo di frutta alla pesca, lo porge al figlio di nove anni, aspetta che il figlio beva tutto il succo, gli raccomanda di coprirsi le spalle, si offre di andare all’ombrellone a prendere la maglietta, il figlio scuote la testa e dice: none (davvero, dice: none), il padre gli prende delicatamente dalle mani la bottiglietta di succo vuota e va a gettarla nella spazzatura, dopo avere di nuovo e invano implorato il figlio di dargli il permesso di portargli una maglietta. Solo allora, travolta da questa modernità e sollecitudine, sconfitta nella gara di bravura, mi chiedo: e le madri? Dove sono finite le madri? Sono sdraiate sui lettini a chattare, sono in piccoli gruppi a parlare di calcio, sono al campo di pallavolo a guardare le schiene dei giocatori. La mamma e la bambina che si mette in posa davanti all’iPhone dormono abbracciate sulla sedia a sdraio all’ombra, mentre il padre tatuato cambia l’acqua alla piscinetta rosa, lava il secchiello e le palette, sistema gli asciugamani e intanto canticchia i Puffi. Aspetta impaziente che la ragazzina si svegli, per tornare a essere il re della spiaggia.