Le mosse di Ankara per combattere l'occidente dalle moschee di Vienna
Roma. Lo scorso inverno, l’Università di Vienna pubblicava un rapporto in cui si osservava come le scuole per l’infanzia della capitale austriaca fossero controllate da “intellettuali salafiti e islamisti politici”, la cui azione era finalizzata a favorire un “isolamento teologicamente motivato” dei bambini di religione musulmana. Il documento smentiva, quindi, quanto la locale Comunità religiosa islamica (IGGiÖ) aveva comunicato qualche mese fa, e cioè la messa al bando completa da ogni istituto austriaco di libri di testo con una linea anti occidentale. Lo studioso islamico Ralph Ghadban, origini libanesi ora di base a Berlino, spiega che la ragione di tale deriva – che dura da qualche anno ma che solo nell’ultimo biennio è emersa con tutta la sua forza – è una sola e va ricondotta all’espansione politica e culturale, da grandeur, della Turchia. Basta visitare qualche moschea austriaca finanziata e mantenuta in piedi da Ankara e ci si rende conto di come stiano le cose.
In quei luoghi, dice Ralph Ghadban, dominano “i forti toni turco-nazionalistici” e quindi si predica una “netta separazione dai valori individualistici dell’occidente”. Il che è preoccupante, se si considera che – come ha scritto il Gatestone Institute riportando statistiche ufficiali – oggi nelle scuole medie e secondarie di Vienna gli studenti musulmani sono più numerosi di quelli cattolici. Una tendenza che presto si vedrà anche negli istituti elementari. Numeri che hanno già causato un mutamento demografico nel paese, che si accompagna a un massiccio incremento dei fedeli di culto islamico. Il ruolo della Turchia nella partita è chiaro anche da quanto avvenuto a metà giugno, quando si è scelto il nuovo presidente della Comunità islamica austriaca. A ottenere l’incarico è stato Ibrahim Olgun, ventottenne teologo di origine turca, che ha preso il posto di Fuat Sanac, dimissionario in seguito alle forti pressioni esercitate su di lui da Ankara, che lo accusava di aver avallato la legge sull’islam varata un anno fa dal governo di Vienna. Il provvedimento, che dopo due anni di discussioni aveva mandato in archivio la vecchia legge del 1912 promulgata da Francesco Giuseppe imperatore, regola le relazioni tra lo stato e le quattrocentocinquanta organizzazioni islamiche presenti sul territorio. L’estrema destra aveva votato contro: nessun accordo né regolamentazione, perché “l’islam non appartiene all’Austria né sul piano culturale né su quello storico”, aveva detto il leader della Fpö, Heinz-Christian Strache. Polemici erano stati anche gli esponenti dell’Unione turco-islamica viennese: “La legge sull’islam è stata trasformata in una legge sulla sicurezza”.
Decisivo per la sorte di Sanac, il parere del potente Mehmet Gormez, responsabile per gli Affari religiosi di Ankara, che aveva biasimato il tentativo di “crearsi una propria versione di islam”. Olgun, giovane e ben introdotto nell’Unione turco-islamica austriaca (che altro non è che un’organizzazione finanziata direttamente dal governo di Recep Tayyip Erdogan), appare come l’uomo perfetto per condurre dinanzi alla Corte costituzionale del paese la battaglia per cancellare la legge, assai invisa a oriente del Bosforo. Scriveva un anno fa il quotidiano Daily Sabah che, di fatto, la normativa “mette al bando il dipartimento per gli Affari religiosi di Ankara, visto che non potrà più fornire assistenza finanziaria, inviare pubblicazioni ai musulmani al di fuori del paese e formare in patria gli imam”.
La nomina di Olgun è contestata da ben otto gruppi che confluiscono nella Comunità religiosa islamica d’Austria, soprattutto perché il Consiglio della Shura – che ha materialmente eletto Olgun – è composto solo da turchi, ignorando che per la carica è necessario avere almeno trentacinque anni d’età. Il nuovo presidente alza le spalle e promette di “rappresentare tutti i musulmani”, sottolineando che mai si farà influenzare da Erdogan, dai suoi consiglieri e finanziatori. I più determinati nel contestare la sua scalata sono i membri arabi della Comunità, che parlando di elezione “antidemocratica e illegale”, paventando il rischio di un’egemonia turca sulle moschee austriache, considerato che l’Unione turco-islamica – a capo della quale c’è un incaricato d’affari dell’ambasciata di Ankara a Vienna – controlla già una sessantina di luoghi di culto in Austria, dirette da imam stipendiati direttamente dallo stato di cui Erdogan è presidente.