Star Trek, cinquant'anni in viaggio verso una irraggiungibile ultima frontiera

Stefano Priarone
La celebre saga di fantascienza creata da Gene Roddenberry compie mezzo secolo (e il 21 esce “Beyond”, il nuovo film), ma ormai non c’è più posto per le utopie della serie.

 

“Spazio, ultima frontiera. Eccovi i viaggi dell'astronave Enterprise durante la sua missione quinquennale, diretta all'esplorazione di strani, nuovi mondi, alla ricerca di altre forme di vita e di civiltà, fino ad arrivare là dove nessun uomo è mai giunto prima”.

 

Sono le 19.30 dell’8 settembre 1966 (orario della East Coast), quando i telespettatori americani ascoltano queste parole per la prima volta. “Oltre la Galassia” è il primo episodio di una nuova serie televisiva: Star Trek. Fortemente voluta dal produttore Gene Roddenberry (1921-1991), cerca di portare la fantascienza classica (alla Asimov, per intenderci) in televisione. Il primo episodio pilota, “The Cage”, viene rifiutato dalla rete NBC, sia perché  considerato troppo cervellotico, sia perché vedere una donna primo ufficiale e un alieno su un’astronave era considerato eccessivamente progressista per il telespettatore medio dell’epoca. “Oltre la galassia” è il secondo episodio pilota: è sparita la donna sul ponte di comando, ma c’è ancora l’alieno, adesso promosso a primo ufficiale: è il vulcaniano Spock (che Leonard Nimoy rende indimenticabile con la sua interpretazione), destinato a diventare uno dei personaggi più celebri della televisione.

 


Gene Roddenberry


 

Siamo nel futuro, nel XXIII secolo, e seguiamo le avventure di una nave stellare della Federazione Unita dei Pianeti: nell’equipaggio non ci sono solo anglosassoni come il capitano James T. Kirk (William Shatner), il Dottor Leonard McCoy (DeForest Kelley) o il capo ingegnere, lo scozzese Montgomery Scott (James Doohan) ma anche un giapponese Hikaru Sulu (George Takei), l’africana Nyota Uhura (Nichelle Nichols) e persino un russo, Pavel Chekov (Walter Koenig). Nonché l’alieno Spock, forse il personaggio più amato della saga, diviso fra la fredda logica a cui è addestrato sin dall’infanzia e il fascino delle emozioni umane, eredità di una madre terrestre.

 

Star Trek è frutto della visione di Roddenberry, fortemente condizionata dalle utopie degli anni Sessanta: dopo una spaventosa terza guerra mondiale l’umanità ha formato un governo unito, ha raggiunto le stelle e si è alleata con i Vulcaniani. Nasce così la Federazione dei Pianeti Uniti. Star Trek è politica e filosofia, con una buona dose d’azione mai fine a se stessa. Molti gli scrittori di fantascienza famosi che collaborano alla serie. Harlan Ellison scrive l’episodio forse più famoso, “Uccidere per amore”, con una giovane Joan Collins futura star di “Dinasty”. E Theodore Sturgeon ha l’idea della Prima Direttiva: una norma che impedisce alla Federazione di interferire con civiltà meno progredite, limitando i contatti. È chiaro il riferimento critico alla politica americana interventista (sono gli anni della guerra del Vietnam), anche se Kirk interpreta la Prima Direttiva con grande elasticità - in pratica la ignora. Del resto, la Federazione ricorda molto gli USA, mentre i Klingon, storici nemici, hanno fattezze mongoliche e ricordano i sovietici.

 

Il capitano Kirk è un vero playboy galattico. Umane, aliene, persino robot: per lui vanno tutte bene, anche se, come gli androidi, non respirano. Tra le sue amanti c’è persino Barbara Bouchet, in seguito diventata famosissima in Italia come star della commedia all’Italiana più scollacciata. Sempre Kirk è protagonista, nell’episodio “Umiliati per forza maggiore” del primo bacio interraziale nella storia della televisione americana, fra lui e Uhura, approvato dallo stesso Martin Luther King, che giudicava positiva la presenza della Nichols nella serie.

 

Le tecnologie di Star Trek (o "treknologie", come sono state definite) hanno spesso anticipato molti oggetti poi divenuti di uso corrente, come i cellulari (i famosi “comunicatori”) e il computer palmare (il “tricorder”). Per quanto riguarda il teletrasporto, purtroppo dovremo aspettare ancora. Curiosamente, quest’ultimo nasce da un’esigenza di budget: con il teletrasporto non era più necessario far atterrare sempre l’Enterprise e così sarebbero diminuiti i costi di produzione.



La serie dura solamente tre stagioni, ma le repliche le assicurano un buon numero di fan, e nel 1979 esce il primo film della serie, diretto da Robert Wise, grazie anche al successo di Star Wars che ha rilanciato la fantascienza al cinema. Ironico, visto che i fan di fan di Star Trek hanno spesso contrapposto la loro amata saga, vera science fiction, alla science fantasy di Star Wars, dove di scientifico c’è ben poco. I protagonisti sono ormai quasi tutti ultracinquantenni, già nel secondo film “L‘ira di Khan” del 1982 si affronta il tema del tempo che passa. Ma Roddenberry ha un’idea per l’epoca geniale e insolita: uno spin-off. Nel 1987 debutta in televisione “The Next Generation”, ambientata una settantina di anni dopo la serie originale con un nuova Entrerprise comandata dal capitano Jean-Luc Picard (Patrick Stewart). Al posto di Spock abbiamo Data (Brent Spiner), robot che cerca ci capire cosa sia l’umanità. La serie nasce in piena glasnost gorbacioviana e anche qui i rimandi si sprecano. La Federazione ha fatto la pace con l’impero Klingon e uno di loro, Worf (Michael Dorn) fa addirittura parte dell’equipaggio dell’Enterprise. Del resto i Kilingon non sono più i semplici cattivi monodimensionali del passato. Seguono altri spin-off, “Deep Space Nine” (1993-1999) con il primo nero comandante, Benjamin Sisko (Avery Brooks), “Voyager” (1995-2001) con la prima donna capitano, Kathryn Janeway (Kate Mulgrew) - chissà se Star Trek ha previsto il futuro e dopo Obama avremo Hillary Clinton presidente -  e il prequel “Enterprise” (2001-2005). E la serie a poco a poco cambia: il mondo di Star Trek è meno ottimista e la stessa Federazione non sembra più così immune da errori come in passato.

 

Il  migliore film di Star Trek è però un geniale apocrifo: “Galaxy Quest” (1999), diretto da Dean Parisot.  Durante una convention gli attori della serie Galaxy Quest (che ha molto in comune con Star Trek) incontrano dei loro fan da un altro pianeta: questi adorano la serie, pensano sia reale e hanno costruito la loro astronave sulla base di quella del serial. Hanno bisogno di aiuto contro extraterrestri malvagi: e così gli attori, volenti o nolenti, dovranno fare gli eroi sul serio. Il film ritrae fedelmente il fandom di Star Trek: ci sono fan che hanno impostato la loro vita sulla filosofia vulcaniana, in tanti hanno persino imparato la lingua Klingon, inventata da Marc Okrand. I fan della serie erano stati chiamati  trekkie, ma preferiscono definirsi trekker, un termine che denota uno scopo: un trekker non è un semplice appassionato passivo, ma è uno che viaggia, seppure solo con l’immaginazione. Un trekkie fa una scampagnata domenicale, un trekker è imbarcato in una missione quinquennale come quella dell’Enterprise.


 


Ad ogni modo, ancora più dei fan della trilogia di Star Wars, sdoganata dall’enorme successo mondiale, la saga è stata un sinonimo di nerdosità. Quando in un film si voleva mostrare un nerd (figura non ancora rivalutata come negli ultimi anni) non era necessario mostrarlo con  i classici occhiali ma bastava dire che era un fan di Star Trek. Eppure il 27 febbraio 2015, alla morte di Leonard Nimoy, il mondo si è scoperto nerd. La sua scomparsa ha scosso anche personaggi impensabili. Citando il classico saluto degli alieni del pianeta vulcano (“Lunga vita e prosperità”), uno dei commenti era: “Ha avuto una vita lunga e prospera e ha cambiato la nostra vita per sempre.”

 

Alla fine del primo decennio del XXI secolo Star Trek è un franchise in crisi. L’ultima serie televisiva, il prequel “Enteprise”,  ha chiuso dopo sole quattro stagioni nel 2005. La serie è quindi affidata a J.J. Abrams, famoso per “Lost”, che ha l’idea di un nuovo cast per l’Enterprise originale e di un “reboot non reboot”: il film “Star Trek – Il futuro ha inizio” (2009). Il nuovo Kirk è Chris Pine, il nuovo Spock Zachary Quinto, il nuovo McCoy è Karl Urban. Leonard Nimoy torna a interpretare Spock. Ormai vecchio, finisce in un universo alternativo dove incontra il se stesso giovane. Siamo in un nuovo universo dove tutto può accadere, con Nimoy come garanzia di ortodossia Trek. Il film, in realtà abbastanza lontano dallo spirito della serie originale, piace comunque anche ai trekker, a differenza del successivo “Into Darkness” (2013), che è l’apice della postmodernità, quasi un remake di “L’ira di Khan” (torna anche il cattivo del film), dove le idee sono davvero scarsine e trionfa il gusto postmoderno della citazione fine a se stessa.


 


Il 21 luglio prossimo uscirà nelle sale il nuovo film, il tredicesimo della serie e il primo dalla morte di Nimoy. “Beyond” è stato diretto da Justin Lin, famoso per i film d’azione del ciclo “Fast & Furious”. A giudicare dai trailer, anche se fra gli sceneggiatori c’è un nerd conclamato della serie come l’attore Simon Pegg (che interpreta il capo ingegnere Scott), sembra un blockbuster come tanti altri. Solo scene d’azione e niente complessi interrogativi sull’umanità e sulla politica ai quali Star Trek ci aveva abituato. Ma il mondo è profondamente cambiato: Star Trek è nata nei Sessanta, anni di utopie e grande ottimismo ed è rinata negli Ottanta, un periodo di boom e speranze. Adesso quelle speranze sono state sconfitte: gli ideali libertari sono frustrati dal politicamente corretto, tanto che il bacio fra Kirk e Uhura, adesso verrebbe bollato dalle femministe come un sopruso del capitano verso una subordinata. E le utopie politiche dalla realtà: a Dallas bruciano i sogni di integrazione di Martin Luther King, che trovano eco in quella Federazione Unita dei Pianeti dove coesistono alieni diversi con obiettivi comuni. Il motto vulcaniano "infinite diversità in infinite combinazioni", sembra solo un’utopia.

 

E in tutto il mondo i vari attentati di matrice islamica (il più recente quello di Nizza) ci fanno vedere che come umanità siamo ben lontani dall’aver raggiunto la pace e che quello di Roddenberry era forse solo un sogno. Però, forse i suoi ideali erano minati alla base: Star Trek ignora volutamente la religione, ogni volta che l’equipaggio dell’Enterprise si imbatte in entità considerate divine le smaschera, sono solo esseri un po’ più potenti, gli dei dell’Olimpo, ad esempio, erano degli alieni. Ma l’uomo non è solo razionalità (come del resto capisce anche Spock), e gli ideali puramente laicisti degli uomini della Federazione non bastano. Speriamo che si possa ancora viaggiare, magari tenendo conto anche della religione, “dove nessun uomo è mai giunto prima”.

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