(foto LaPresse)

Viva l'anti Salone!

Mariarosa Mancuso
La Fiera del libro si sdoppia. Viva la concorrenza, non può che far bene. Il Salone vecchio a Torino e la manifestazione nuova a Milano concordano sul voler portare i libri a chi non legge. E la cultura rende tutti migliori, tranne quando si parla d’Israele: nel 2008, quando come paese ospite fu scelto Israele, il Salone venne blindato.

I giganti editoriali Mondadori e Rizzoli si sono fusi, i saloni del libro sono ben avviati verso la scissione. Contati i voti, l’Associazione italiana editori ha avviato un progetto per la promozione del libro in joint venture con Fiera Milano. Il Salone di Torino va avanti con la sua formula, nel maggio 2017 festeggerà il trentennale, e per rilanciare spende i nomi di Massimo Gramellini e dell’ex ministro Massimo Bray. Si prevedono scontri con il nuovo sindaco Chiara Appendino. L’anti salone milanese è previsto più o meno nelle stesse date, a primavera inoltrata. Un bel record, per un paese dove la quantità di libri comprati rimane scarsa (figuriamoci i libri letti). Però agli eventi c’è la fila, magari con l’aiuto di qualche scolaresca reclutata in base al peso degli zainetti e alla volontà di usarli come armi improprie. O invitando Checco Zalone che attira le folle.

 

Viva la concorrenza, non può che far bene (anche se, nel paese dove si legge poco, dietro la concorrenza quasi sempre si indovinano opposte cordate). Il Salone vecchio e la manifestazione nuova concordano sul voler portare i libri a chi non legge – l’equivalente dei discorsi elettorali sul riscatto delle periferie. Finché uno finisce per chiedersi: ma se non leggono, non sarà anche colpa di chi dice che leggere rende migliori, mai che leggere è un gran divertimento? (annoso problema che recensioni non proprio affidabili finiscono per aggravare). Via le scolaresche coatte, via le decine di dibattiti in contemporanea – capita che ci siano più microfoni e bottiglie d’acqua che astanti, il motto sembra essere “una presentazione non si nega a nessuno”. Sarebbe già una ragion sufficiente per tifare Milano. Ancora meglio, se la nuova manifestazione fosse ospitata in padiglioni meno fracassoni: una giornata al Lingotto durante il Salone metteva a dura prova i visitatori professionali e no, per l’aria miasmatica e musicanti delle più varie etnie che suonavano senza sosta.

 

Belle parole se ne sentivano tante, sulla cultura che rende migliori. Poi nel 2008, quando come paese ospite fu scelto Israele, il Salone venne blindato. Minacce di boicottaggio da ogni dove per la terribile offesa. Va ricordato che gli organizzatori non reagirono con un coraggio da leoni; si lanciarono in un’arrampicata sui vetri distinguendo tra gli scrittori e il governo israeliano (dal secondo ovviamente pigliavano le distanze). Per esperienza diretta, un’intervista a Aharon Appelfeld si trasformò in un percorso di guerra. Stand e microfoni controllati con anticipo, due signori evidentemente poco interessati ai libri che osservavano, pronti a intervenire (intervennero, quando uno sciagurato con la videocamera si avvicinò per un’inquadratura artistica, erano i primi tempi del multimediale). Insomma: sopravvissuto al nazismo, fuggito da solo nei boschi a nove anni, adottato da criminali, e al Salone di Torino – paradiso riconosciuto dei libri che “fanno diventare migliori” – costretto a parlare sotto scorta. Scene simili le avevamo viste solo con Salman Rushdie ai tempi della fatwa. Nulla di simile accadde quando il paese ospite al Salone del libro di Torino fu l’Egitto, né quando invitarono l’India, né quando invitarono la Russia. Tutti considerati paesi modello, sotto ogni profilo. Nessun boicottaggio, nessun penoso distinguo da parte della direzione.

Di più su questi argomenti: