Ode all'opera trasmessa nei cinema e non solo nei vecchi teatri
Roma. Il Met, il più importante teatro operistico americano, vive una grave crisi di abbonamenti (66 per cento in meno rispetto all’anno scorso). Una crisi planetaria che a diversi livelli coinvolge sia i teatri lirici sia quelli sinfonici. Non servono grossi studi per rendersi conto che anche quando il numero di abbonamenti non cala, vi è un aumento dell’età media del pubblico in sala, altro chiaro indice del vuoto d’utenza.
Per far fronte a questa situazione, il Met dal 2006 trasmette in diretta alcune sue opere in taluni cinema del mondo. L’iniziativa è cresciuta nel tempo, dilatando non solo il pubblico del teatro, ma anche e soprattutto gli incassi divenuti inversamente proporzionali ai proventi del teatro dal vivo. I numeri parlano chiaro: 18 milioni di dollari gli introiti della stagione “cinematografica” appena conclusa, opere trasmesse in duemila sale nel mondo, stagione 2016-2017 che vede ben dieci titoli trasmessi HD, tra cui il “Tristano e Isotta” che inaugurerà la prossima stagione. Il dibattito sulla bontà dell’operazione riprende puntuale. Alcuni guardano all’iniziativa come a una delle cause del declino della presenza del pubblico in sala, altri accusano il Met – ma anche altre importanti istituzioni che lavorano in questo senso (la Royal Opera House di Londra su tutte) – di trasformare l’opera lirica in opera cinematografica, istituendo regie sia teatrali sia video, pensate più per il cinema che per il teatro. Anche la lettura dei dati è controversa.
Bryn Terfel, baritono, al settantesimo anniversario della Welsh National Opera
C’è chi obietta che il pubblico che decide di ascoltare l’opera al cinema non è un pubblico “nuovo”, ma si tratterebbe di appassionati di lirica che già frequentano i teatri e conoscono bene il mondo dell’opera. Anche in Italia i tentativi in questo senso sono diversi. Il Teatro alla Scala trasmette tre titoli l’anno sulla Rai. L’Accademia di Santa Cecilia ormai da anni supporta il progetto “Pappano in Web” con la collaborazione di Tim. Il fenomeno della musica fuori dalla “propria casa” è utile o serve soltanto ad aggravare la già non facile situazione dei nostri teatri? Di sicuro, trasmettere gli spettacoli in diretta nei cinema o sul web non procura un danno alle grosse istituzioni musicali che, anzi, riescono ad ampliare il proprio pubblico soprattutto creandosene uno internazionale. Sono i piccoli teatri a soffrire, poiché di fronte alla possibilità di ascoltare cast stellari a poco prezzo e sotto casa (benché non dal vivo) la gente abbandona il piccolo teatro preferendo la proiezione al cinema.
La musica deve tornare a essere una costante nella quotidianità delle persone e per questo vanno abbattuti vecchi cliché e posizioni settarie. La musica deve utilizzare la liquidità della società per rientrare nelle nostre vite, evitando di segregarsi in teatri che si ergono a templi ormai stantii. Così potranno crescere nuove generazioni di ascoltatori che non dovranno dimenticarsi di quel che sono e del mondo in cui vivono per ascoltare buona musica. Lo aveva intuito quel geniaccio di Leonard Bernstein che, appena eletto direttore della New York Philharmonic, fece trasmettere dalla Cbs il suo primo concerto alla guida dell’orchestra, in diretta dalla Carnegie Hall. Di lì a poco riprenderanno anche i Young People’s Concerts. Era il 1958.