Popcorn
A Locarno un po' di vivacità: moltiplicare l'esistente non basta, nel cinema, bisogna inventare
La prima volta che abbiamo visto una motocicletta giù per una rampa di scale è scattato l’applauso. Succede, anche per questo si va al cinema. Era scattato anche quando Harrison Ford non si lasciava impressionare dal rivale – che armeggiava con la scimitarra come le majorette armeggiano con il bastone – e tirava fuori la pistola per farlo secco (alla faccia delle pari opportunità e dell’ammirazione stuporosa per le culture altre, funzionava per i cacciatori di arche perdute, Spielberg 1981, e a maggior ragione dovrebbe valere adesso).
Quando una motocicletta di scale ne scende una dozzina, ripidissime, la faccenda si fa meno interessante. Gradino più gradino meno, l’attenzione cala e l’applauso non scatta: sarà riservato a chi sorprende con qualcosa di originale, invece di moltiplicare l’esistente. Prima o poi bisognerà introdurlo, un rasoio di Occam cinematografico che tolga di mezzo i titoli superflui. Ad esempio, il quinto capitolo della saga Bourne, in programma ieri sera al Festival di Locarno (dei supereroi inutili parliamo un’altra volta, stanno arrivando le prime recensioni di “Suicide Squad”, uscita italiana il 13 agosto, e sono tutte variazioni sul tema “sì, è proprio brutto come avete sentito dire”).
“Jason Bourne” è il titolo, senza altri orpelli. Regista, per la terza volta, Paul Greengrass. Bravissimo a dirigere scene di massa e di confusione – si era fatto notare con “Bloody Sunday”, la domenica di sangue del 1972 a Derry, Irlanda del nord: i soldati britannici spararono su una pacifica marcia di protesta – dà il meglio di sé nella prima parte del film, ambientata ad Atene. Jason Bourne ormai sa chi è, e sa quali sono stati i suoi rapporti con la Cia. Per punirsi fa il lottatore in Serbia, quando viene convocato da una hacker. Appuntamento davanti al Parlamento greco, piazza Syntagma nel bel mezzo dei disordini.
Un regista tanto bravo che decide di spostarsi a Las Vegas – per un inseguimento alla “Fast & Furious”, con le auto che paiono birilli al bowling – dimostra una bella dose di masochismo. Quanto alle complicazioni della trama, non si esce dalla Cia e dai suoi sporchi giochi: buoni, cattivi, normali, aiutanti, oppositori, doppiogiochisti appartengono tutti all’agenzia, come se nessun altro esistesse al mondo. Anche Matt Damon sembra poco convinto, mentre risolve le sue faccende edipiche (in fondo avevano girato un film della serie senza di lui, avrebbero potuto continuare).
E’ stato comunque un bel momento di vivacità. La sera precedente in Piazza Grande era in programma “Moka” del regista svizzero Frédéric Mermoud: sua la firma su quattro episodi della magnifica serie “Les Revenants”. Più che promettente, e non era male neppure “Complices”, il suo primo film. E' riuscito a farci odiare due attrici che di rado sbagliano: Emmanuelle Devos e Nathalie Baye.