Il rock è definitivamente morto, e infatti gli dedichiamo i mausolei
Milano. Che il rock fosse morto già lo sapevamo. E non vi faccia ingannare il fatto che quest’estate in Italia i suoi principali cantori e paladini – Springsteen, Neil Young, David Gilmour – abbiano riempito terme e anfiteatri dell’Impero Romano. Per quanto i luoghi scelti dovrebbero farvi riflettere. Ma c’è di più. Oggi il rock, ovvero quello che fu delle forme d’arte popolare più iconoclaste e dissacratorie del Novecento, è entrato nei musei e in altri sontuosi mausolei. La memorabilia, ovvero la raccolta di oggetti e souvenir posseduti dalle rockstar, ha sempre avuto un ruolo fondamentale nel rock, basti pensare alla Graceland di Elvis a Memphis o alla catena degli Hard Rock Cafè; ma oggi, in mancanza di un’arte contemporanea che muova grande pubblico ed ecciti la critica, ecco che i protagonisti del baraccone rock’n’roll riempiono le sale museali. Exhibitionism è il titolo della mostra alla Saatchi Gallery di Londra che racchiude, attraverso oltre 500 cimeli, 50 anni di carriera dei Rolling Stones, dalla riproduzione dell’appartamento di Edith Grove a Chelsea dove vivevano i tre membri fondatori e dove sono state composte le prime canzoni fino ai documentari realizzati da Andy Wharol e Martin Scorsese. La mostra è la celebrazione della rock band per antonomasia e della combinazione di spontaneità, incoscienza e magia incarnata da Jagger e soci agli esordi, ricostruendone l’evoluzione musicale partita dall’amore per il blues, ma anche con la solita stucchevole parata di abiti di scena del gruppo che rompe la narrazione creativo-musicale della mostra.
Discorso diverso invece per David Bowie is, la mostra itinerante nata tre anni fa alla Victoria&Albert Museum di Londra che dopo un giro in mezzo mondo approda al MAMbo di Bologna dove rimarrà fino a metà novembre: qui il tentativo – in gran parte riuscito – è quello di ricostruire i processi creativi che hanno caratterizzato la vita artistica e l’identità di Bowie in perenne mutazione. Gli oggetti e gli abiti esposti non hanno un puro intento feticista da fandom, bensì una precisa funzione narrativa per trasmettere il senso artistico della sua opera e vita. Sebbene la mostra fu allestita per la prima volta a Londra quando David Bowie era ancora in vita, anche se defilato dalle scene, dentro le stanze del MAMbo si respira un clima lugubre e funereo, nonostante l’ultima frase che si legge all’uscita dalla mostra sia “David Bowie is forever now”.
David Bowie
Qui in Italia non potevamo esser da meno, così negli stessi giorni di David Bowie is è partito da Lucca (fino a domenica) un tour chiamato didascalicamente Vasco Rossi – La Mostra Ufficiale, un luogo, secondo le intenzioni dei curatori, “dove ogni visitatore potesse sentirsi in contatto diretto con Vasco e completamente immerso nella sua storia di vita”. La mostra è una sorta di versione italo-trash (il trash nella definizione di Tommaso Labranca è l’emulazione mal riuscita di un esempio “alto”) di quella di Bowie. Al posto dei costumi disegnati da Kansai Yamamoto c’è il chiodo comprato al mercato, invece di Brian Eno o William Burroughs c’è Red Ronnie, Blasco al posto di Ziggy Stardust. All’entrata della mostra invece della frase “Tutta l’arte è instabile” c’è la lettera delle Siae di Bologna che intima la chiusura di Punto radio, l’emittente fondata dal giovane Rossi, per non aver onorarato i diritti. Dall’esibizione allo Zecchino D’Oro alla Festa dell’Unità a Sant’Ilario D’Enza, dai dischi d’oro fino ai 120 mila dell’Autodromo di Imola, c’è tutta la storia fotografica del rocker nostrano, che per 40 anni ha accompagnato varie generazioni con il suo stile di vita tra lo spericolato e il bonaccione. Nei video mostrati durante la mostra al Real College di Lucca ce n’è uno in cui Vasco prima di presentare “Albachiara” ringrazia il pubblico “perché ci siete ancora, perché siete vivi”. Il rock invece è morto e ora sverna dentro i musei.
Vasco Rossi
Universalismo individualistico