Ma quanto ci piace la guerra finta
Le Olimpiadi sono una Grande Guerra. Supremazia. Apoteosi. Volontà di potenza. Quello che si consuma in questi giorni a Rio non è altro che l’estensione del principio del generale Clausewitz: i Giochi sono la continuazione della guerra con altri mezzi. Gli stati d’animo sono quelli di popoli belligeranti, gli atleti sono truppe schierate sul campo di battaglia. E le armi, questi scintillanti oggetti usati per cacciare, conquistare, uccidere.
Guardate il medagliere, sostituite gli ori con le navi affondate, gli argenti con i carri distrutti, i bronzi con gli aerei abbattuti. Potente è lo Stato che colleziona questi trofei, imbattibile è colui che invade ogni spazio, onusto di gloria è chi conquista il bottino e torna a casa felice. Soldati.
L’arte della guerra nelle Olimpiadi trova la sua sacra rappresentazione, esaltazione e sublimazione: strategia e tecnica, intelligenza e materiali di prim’ordine, organizzazione e allenamento, disciplina e fantasia. Salite a bordo della macchina del tempo, vi ritroverete in una grande giostra medievale, vedrete l’artiglieria di Napoleone, la cavalleria di Wellington, i moschettieri di Dumas, i lancieri di Montebello, gli arcieri di Gengis Khan.
Gli eroi di Rio confermano il carattere degli italiani: quando c’è guerra, la facciamo solo un po’ (Libia), quando non c’è guerra ci piace giocare alla guerra (Olimpiadi). Non siamo i soli, ma noi abbiamo un tocco pittoresco, chiassoso, sfavillante. Fu Winston Churchill a fotografare con un guizzo sulfureo di british humour il tratto del nostro spirito: “Gli Italiani perdono le guerre come se fossero partite di calcio e le partite di calcio come se fossero guerre”. D’altronde, nei discorsi della politica la parola “guerra” è depennata e anche oggi Matteo Renzi, quando si è collegato dalla sala operativa del Comitato interforze di Centocelle con i nostri militari in missione, ha lasciato questo messaggio: “Siamo davvero molto orgogliosi di chi come voi serve la patria in momenti di difficoltà, difficoltà inedite rispetto al passato ma non per questo meno pericolose”. Difficoltà pericolose. E’ il dizionario militare con il dolcificante. Caricare, puntare…e mescolare bene. Le Olimpiadi sono il palcoscenico ideale per noi italiani, là possiamo mostrare la nostra arte della guerra senza ipocrisie, maschere, minuetti, bischerate strategiche.
Precisione, tiro, velocità e destrezza, colpo d’occhio, una freccia si libra nell’aria e per un istante infinito viaggia tra due punti. Il dardo conclude la sua corsa conficcandosi nel cuore del bersaglio. Sono gli archi tesi delle nostre ragazze che hanno conquistato il bronzo a Rio, Guendalina Sartori, Claudia Mandia e Lucilla Boari, regine del tiro, calcolatrici della distanza, amiche del vento. Chiudete ancora gli occhi, lasciatevi trasportare dall’immaginazione. Eccoci immersi tra le pagine del Romanzo di Odisseo, di Valerio Massimo Manfredi: “Al mio ordine, subito tutti gli arcieri si schierarono in tre file ai miei fianchi. Piantarono a terra le faretre, imbracciarono gli archi, incoccarono e attesero. “Tirate!”, gridai, e una nube di dardi piovve sulla schiera troiana. Crollarono”.
Niccolò Campriani oro nella carabina da 10 metri (foto LaPresse)
Le Olimpiadi sono l’epica della guerra. E’ l’ora di sguainare le spade, saggiare l’abilità del nemico, la sua volontà di vivere e morire per i suoi colori. Gli spadaccini avanzano, guidati dalla fiamma gialla del finanziere Daniele Garozzo da Acireale. Incrocia il fioretto con l’americano Massialis, duro e crudele. Per quindici volte la lama di Garozzo colpisce il petto e la schiena di Massialis. Freddo come un crotalo, rapido come un leopardo, elegante come un gatto in bilico su un muro. E’ l’oro che esce a fiotti dalla penna di Dumas: “In guardia, signore, in guardia! (…) e le due lame si incrociarono fino alla guardia, e siccome il Guascone si tenne fermo al suo posto, fu l’avversario che dovette fare un passo indietro. Ma d’Artagnan colse il momento in cui, per questo movimento, la lama di Bernajoux deviava dalla linea di guardia, si disimpegnò, tirò una botta a fondo e toccò il suo avversario alla spalla”. Il duello. La storia s’addensa nei gesti di Garozzo: “A noi, moschettieri, a noi!”. L’oro italiano sul filo di lama.
Elisa Di Francisca, medaglia d'argento a Rio 2016 nel fioretto femminile (foto LaPresse)
Su un altro fronte della guerra Olimpica, si consuma un furioso scontro d’artiglieria. Un’altra fiamma gialla si fa largo tra i fanti, Niccolò Campriani, carica, punta e fa fuoco con il suo fucile. Mette a segno 122 colpi su 125 e sbaraglia gli altri uomini sul campo. E’ la forza letale del cecchino. Il silenzio, l’esplosione di un attimo. La storia libera i suoi lampi: Vasilij Grigor’eviã Zajcev crebbe negli Urali, imparò a cacciare renne e lupi con il nonno, la guerra lo catapultò sul fronte e a Stalingrado dove tra novembre e dicembre del 1942 uccise 225 soldati tedeschi. Hitler mandò un altro tiratore scelto a stanarlo, un colonnello delle Waffen-SS. La caccia durò tre giorni. Solo uno rivide la luce, Zajcev. E’ il racconto del film Il nemico alle porte, la storia del più grande cecchino di Santa Madre Russia.
Siamo soli sul fronte, tutte le armi sono scariche, non ci sono né spade né coltelli né bastoni né sassi. Macerie, una pianura fumante e due uomini in piedi, esausti. Si battono a mani nude. E’ lo scontro primitivo, il più crudele, il corpo a corpo. E’ il duecentesimo oro della storia olimpica dell’Italia, è di Fabio Basile, campione di judo: “Sono riuscito a trasformare la sofferenza e il dolore in armi da usare sul tappeto contro i miei avversari. In tanti mi dicevano di smettere, che non sarei mai diventato un campione: ecco questa medaglia la dedico anche a loro. La vedete questa medaglia d’oro al collo?”. La vediamo brillare e abbiamo sentito le sue parole, la sofferenza e il dolore, trasformati in armi.
Che spettacolo, il conflitto olimpico. Attendiamo il lancio del giavellotto e del disco e del martello, l’equitazione e il salto a ostacoli e il salto in alto e il decathlon e la marcia. Un esercito in movimento. Frecce, lance, fucili, pistole, spade, pietre e mani nude. E salto e corsa e scatto e pausa e pianto e gioia e dolore. Questo è il motto dei Giochi: citius, altius, fortius (più veloce, più alto, più forte). Questa è la fatica dei soldati che fanno la guerra in pace.