"Halt and Catch Fire", ovvero la Silicon Valley prima di Steve Jobs
Il 23 agosto arriverà la terza stagione, ma in Italia ancora non se ne parla: resta una perla per gli appassionati, nascosta tra i meandri di internet e apprezzata tra i nerd.
Un viso che è un ovale perfetto, due occhi chiari da cerbiatta, e una cornice di capelli biondi tagliati corti. Dea, musa e creatrice, Cameron Howe (interpretata da Mackenzie Davis) è al computer, a pestare con le dita sui tasti; sta programmando. Un gioco, un altro gioco, e un mondo virtuale che ricorda – ma non è - Facebook. Stacco. Quel bellimbusto di Joe MacMillan (Lee Pace), altissimo e bello come un adone, sta scegliendo un completo da indossare. Torso nudo, pieno di cicatrici. Le sopracciglia folte e nere, e un mento a - come si dice - culo. Sta andando in ufficio: lo aspettano trattative, slinguazzamenti e sviolinate varie. Altro stacco. Gordon Clark (Scott McNairy), ingegnere ed ex-visionario, è già nel suo cunicolo: pronto per un'altra giornata monotona, a far finta di aver coronato il sogno americano. Altrove, sua moglie Donna (Kerry Bishé) sta risolvendo i problemi che ha creato qualcun altro: altra dea, altra musa, ma più salvatrice che creatrice.
Halt and Catch Fire, perla della AMC, che più di una volta ha rischiato di non essere rinnovata (la conferma della terza stagione è arrivata solo a ottobre scorso), sta per tornare e in Italia ancora non se ne parla: non ne parlano le tv private, non ne parla la tv pubblica e non ne parla nemmeno Netflix (anche se…). I quattro protagonisti, due uomini e due donne, tutti incasinatissimi e dai passati più o meno neri, sono ingegneri, uomini d’affari e nerd. Si trovano insieme, a un certo punto, e iniziano a collaborare per dare vita a qualcosa di più: al primo, vero pc. Lo chiamano Giant, gigante. Siamo agli inizi degli anni Ottanta in Texas: la Silicon Valley è ancora un’oasi nel deserto da trovare. Parliamo di informatica – ancora allo stato embrionale -, di internet e di tecnologia; parliamo di una storia che è un’alternativa a quella canonica che conosciamo tutti: il mondo prima di “stay hungry, stay foolish”. E parliamo di quattro personaggi stupendi, meravigliosi, pieni di sfaccettature e di problemi – sarà vero che le persone si sono scocciate delle storie che gli ricordano la loro vita; ma il realismo è la nuova moda in tv, e gli eterni secondi attirano molto di più dei vincenti. Come MacMillan: papà assente, mamma suicida, un problema con le autorità e con le donne. O come Cameron, nata Catherine: maschiaccio per scelta, appassionatissima di musica, un talento raro per i codici.
L'idea di Halt and Catch Fire è di due Christopher: Cantwell il primo, C. Rogers il secondo. La prima stagione è andata in onda, oramai, due anni fa; la seconda appena la scorsa estate. A brevissimo, questione di giorni, tocca alla terza. Volendo utilizzare la nomenclatura tecnica, Halt and Catch Fire è un “period drama”: ambientata negli anni Ottanta è una messa in scena quasi in costume; e con toni che - pure con i loro picchi di umorismo e cinismo simpatico - vertono decisamente sul dramma. È una delle serie rivelazione di questi anni: voluta fortemente dal pubblico, rinnovata per acclamazione popolare, incoronata da una critica (di nicchia) con gli allori del vincitore. Ma qui da noi ancora non arriva. Eppure, dopo la scelta dello scorso anno dell’allora direttore di rete Andrea Vianello di mandare su Rai3 The Newsroom (in questi giorni va in onda l’ultima stagione), Halt and Catch Fire potrebbe essere l’ennesimo passo verso l’apertura del terzo canale alle serie straniere di qualità (che dice, signora Bignardi?). Questa, dopotutto, non è una serie per soli appassionati; è un prodotto completo sotto tutti i punti di vista: forte di una scrittura convincente – e di una ricostruzione altrettanto solida – e di un cast all-star. Qui da noi, se venduta bene, se messa nella giusta fascia oraria, potrebbe fare la felicità di tantissimi (e la fortuna, perché no, di una rete che è sempre, irrimediabilmente legata al suo passato).