Poco incinta
"La salute comincia a casa”, è scritto, sotto un minaccioso bilanciere stilizzato, nel logo di No excuse mom (NEM), “gruppo di supporto” (così viene presentato sul sito ufficiale), ma già – e soprattutto – movimento, hype culturale, frontiera d’emancipazione, delle “donne che mettono al primo posto la salute”. La profetessa del NEM, Maria Kang ha appuntato un programma dettagliato (riempie un libro intero, edito nel 2015: “No More EXUSES Diet”) per evitare invalidità e mostrificazione cui, da sempre, la gravidanza, la maternità, il lavoro emozionale e tutti quegli oneri che religioni monoteiste, politeiste, sessismo, patriarcato e suoi affluenti hanno fatto sì che le donne somatizzassero, arrotondandosi e infiacchendosi come se fossero, questi ultimi, processi ineluttabili perché biologici, mentre sono solo il frutto di una resa pigra a un dettame culturale, quello che vuole la femmina madre nella mente e nel corpo.
La gravidanza, invece, non dev’essere un handicap, né un alibi per abbandonarsi alle doppie porzioni e stravaccarsi sul divano nell'attesa del parto; il post parto non un limbo di depressione e apatia; la maternità e l'essere mamma non mestieri usuranti e deformanti, bensì occasione per diventare migliori”, ovvero magre, toniche, scattanti, efficienti, che sono tutti correlativi oggettivi di “in salute”. Maria Kang, però, non è l’apripista delle Fit Moms, le mamme che mantengono il fitness e la dieta al primo posto (alcune maturano una vera e propria ossessione per il peso, terminologicamente medicalizzata così: mommyrexia): si è limitata a dar loro un sistema che assomigliasse a una reconquista e nebulizzasse così la piena aderenza a una logica più grande di domanda e offerta (la domanda è un’efficienza mai discontinua, l’offerta sono dei corpi capaci di non mutare le proprie prestazioni persino quando mutano essi stessi).
Se eliminare i segni della gravidanza fosse rimasta impresa titanica di signore del piccolo e grande schermo come Kim Kardashian (meno 14 chili a poche settimane dal parto), Elisabetta Canalis, Belen Rodriguez, tutte ritornate sotto le luci della ribalta come se avessero partorito scucendosi i figli dalle meningi o dai polpacci, come fece Zeus per far nascere Atena, le Fit Moms non avrebbero mai avuto uno statuto, né un manuale, né un orgoglio. Fu proprio Belen a posare con il pancione, sui tacchi, lavorando a “Italia’s got talent” fino a poco prima di entrare in sala parto, ponendo davanti alle telecamere la questione: incinta non è sinonimo di malata. E da quella rivendicazione di una gravidanza che non fosse intesa come un handicap, come scusa per ingrassare senza sentirsi responsabili ma persino giustificate e quasi santificabili (“lei ha partorito, voi che scusa avete?” dice Carrie, in “Sex and the City”, a due ciccioni che prendono in giro Miranda, in evidente sovrappeso), come statuto speciale (“ten a panza cià cià cià” cantano i bambini per i vicoli di Napoli in “Ieri, oggi, domani”, quando Sofia Loren scampa l’arresto per contrabbando, essendo in dolce attesa), sembra paventarsi un approdo verso l’idea che essere incinta sia una condizione come tutte le altre, visibile agli occhi ma invisibile all’etica, compatibile con la vita quotidiana e pure con quella straordinaria.
“Ho l’ok dei medici, posso giocare”: la scorsa settimana molti quotidiani hanno ripreso la dichiarazione della pallavolista portoricana Diana Reyes che, poco prima di partire per le Olimpiadi di Rio, ha scoperto di essere incinta ed ha deciso di tenere nascosta la cosa fino a quando non è arrivata in Brasile con la sua squadra che “è la mia famiglia e ora ha un nuovo membro”, ha detto alla stampa, troppo commossa da questa storia di dedizione, ribaltamento, sfida, forza femminile per vederci dentro lo stesso tarlo che fa del manuale di Maria Kang un colabrodo. La gravidanza e la maternità, un tempo, invalidavano. Poi, hanno preso a sollevare dagli incarichi, dalle pressioni, dalle bilance, dalle passerelle, dai canoni, dalle tabelle di marcia. Ora le si vuole normalizzare e il rischio è che questa normalizzazione consista nel negare la loro particolarissima normalità, incompatibile con le diete, il fitness, le passerelle, le ossessioni, i diari alimentari, le prestazioni olimpioniche, l’essere da sole.
Diana Reyes, a destra