La cultura non ci cura
La paura di pensarla come Maurizio Gasparri o Matteo Salvini, che quando sentono la parola “cultura” mettono mano alla pistola, induce alla prudenza. Ma non si può nemmeno buttare a mare la saggezza di Altiero Spinelli, secondo il quale il Manifesto di Ventotene non era un invito a sognare, ma un invito a operare. E’ buona cosa che nel vertice sull’isola del Tirreno si discuta anche di un piano europeo straordinario per la cultura – o giù di lì – che secondo il ministro Stefania Giannini dovrebbe includere il potenzamento dell’Erasmus, da estendere anche ai docenti (che dalla Sicilia per insegnare non si muovono, ma per un viaggio in Europa magari sì) e lo scorporo degli investimenti in ricerca e formazione dal calcolo del deficit. Del resto è un mantra di Matteo Renzi che ogni euro investito in cultura sia un euro risparmiato in termini di guerre e lutti.
Secondo il ministro Dario Franceschini è “del tutto evidente il ruolo che la cultura può e deve svolgere rispetto non soltanto all’integrazione tra i paesi dell’Unione ma più direttamente rispetto alla costruzione di una comune identità europea, miglior antidoto ai populismi nazionali e ai rigurgiti antieuropeisti”. Però bisogna essere operativi, e soprattutto realisti. Pensare che un po’ di finanziamenti per le belle arti o gli audiovisivi siano il toccasana, è parlar d’altro. Ma soprattutto immaginare che un volemose bene del consumo culturale possa risolvere i problemi di identità e scongiurare le minacce molto fisiche e poco estetiche che incombono, rischia di essere un equivoco. Cultura è innanzitutto domandarsi chi siamo e cosa siamo disposti a fare per difendere la nostra civiltà. Altrimenti, l’Europa diventerà un gran bel museo.