La protagonista di “Paradise Beach - Dentro l’incubo”

Otto film tutti insieme alla vigilia della Mostra di Venezia

Mariarosa Mancuso
Tra i titoli anche squali, pescatori di ostriche del Novecento, una storia d'amore e una mamma attrice ancora pimpante a 85 anni suonati.

Troppa grazia. Due mesi a stecchetto e poi otto film tutti insieme. Proprio a ridosso della Mostra di Venezia, che comincerà mercoledì 31 e dovrebbe lanciare i nuovi titoli (in teoria; in pratica “Il clan” di Pablo Trapero arriva in sala adesso, a cosa è servito il Leone d’argento vinto un anno fa?). Otto titoli: vuol dire che neppure lo spettatore più fanatico, o lo spettatore alla Italo Calvino – “ci sono stati anni in cui il cinema era per me il mondo” – riesce a tenere il ritmo. Non basta una multisala per programmarli. Neanche se le multisale funzionassero alla parigina, con la programmazione che cambia ogni giorno, così da prolungare la tenitura. Nella percezione dello spettatore non professionista un titolo che dura in sala un mese è “volevo vederlo ma è sparito subito”, figuriamoci un titolo che in cartellone resta una settimana.

 

“Paradise Beach - Dentro l’incubo” (dirige il catalano Jaume Collet-Serra, protagonista Blake Lively) forse non è il miglior film di squali dopo “Lo squalo” di Steven Spielberg, come sostiene il critico di Indiewire. Ma spaventa tantissimo, con grande economia di mezzi: la bionda, il pescecane, il gabbiano, la balena spiaggiata.

 



 

Horror, con lotta di classe, anche “Ma loute” di Bruno Dumont, il più pazzo tra i registi francesi (l’unico rivale, François Ozon, ormai gira film in costume come “Frantz”, lo vedremo in concorso a Venezia). Dalla sua strepitosa miniserie “P’tit Quinquin” – tra i cupi Ch’tis lassù nel nord – riprende i buffi poliziotti, uno magro e uno grasso. Si chiamano Machin e Malfoy – il ciccione sulle dune rotola, fa prima che a camminare – in pista dietro misteriose sparizioni nella baia di Slack. Era uso da quelle parti, all’inizio del novecento, che i poveri pescatori di ostriche prendessero in braccio i rari e ricchi villeggianti per traghettarli dall’altra parte del fiume. I ricchi Brufort nella villa sono da fumetto (Fabrice Luchini e Juliette Binoche riescono a essere sopra le righe in un film già tutto sopra le righe, meglio Valeria Bruni Tedeschi). Sono da fumetto anche gli ostricari brutti sporchi e cattivi. (“ma loute” vuol dire in ch’ti “il mio rampollo”: sembra facciano di tutto per tenere gli spettatori lontani dai cinema).

 



 

Girato da Andrea Di Stefano con Benicio del Toro, “Escobar: Paradise Lost” racconta un canadese a piedi nudi sulla spiaggia, innamorato di una bella colombiana. Un idillio, senonché un paio di rompiscatole locali si mettono di mezzo. Non per molto: lo zio di Maria è Roberto Escobar, ci mette niente a fare pulizia.

 



 

Minuscolo, autobiografico, edipico, con tocchi da “Pranzo di ferragosto” di Gianni di Gregorio (qui si poteva lavorare di più sul ritmo, però) è “Mia madre fa l’attrice” di Mario Balsamo. La mamma ancora pimpante ha 85 anni, recitava con Rossano Brazzi nel 1954 e lo ricorda come fosse ieri.

 


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