Come governare l'èra del #webete
Nella società iper-mediatizzata la verità è diventato un concetto sempre più sfuggente. La disgrazia del terremoto nel centro Italia testimonia – tra bufale, proposte politiche bislacche, invocazione di cause sovrannaturali, teorie della cospirazione e ricerca compulsiva di un colpevole, fenomeni peraltro stavolta emersi in maniera meno dirompente – quanto i nuovi media e l'informazione condizionino la rappresentazione della realtà degli individui con effetti grotteschi. Questi avvenimenti rappresentano, insieme a migliaia di altri occultamenti della verità, quindi mai scientificamente verificati, che imperversano sui media italiani come la pericolosità dei vaccini, dell'olio di palma e il caso della Xylella in Puglia, una tendenza di fondo della nostra società: lo spostamento verso un dibattito pubblico sempre più dominato dall'irrazionalità, dalle fobie, dagli umori superficiali.
Così l'era del "webete", copyright Chicco Mentana, prolifera e si diffonde.Tuttavia, non siamo di fronte ad un caso della storia del tutto nuovo. In un pamphlet del 1935 intitolato "La Crisi della Civiltà", lo storico liberale Huizinga sottolineava come, con la diffusione crescente dei giornali e soprattutto della radio come mezzo di comunicazione di massa, la razionalità del dibattito pubblico fosse crollata nel giro di pochi anni. L'accelerazione del progresso tecnologico e la propagazione dei nuovi media, secondo lo storico olandese, avevano determinato una schizofrenia delle masse che non poteva essere compensata ne dalle maggiori informazioni disponibili ne dalla crescente alfabetizzazione della società. I riflessi, ovviamente, si riverberavano sulla politica con la trasformazione del messaggio elettorale che si faceva più semplicistico, rabbioso e populista. Un'evoluzione che, seppur in un contesto storico molto differente, aveva trascinato quelle società verso il baratro dei totalitarismi.
Il direttore di La7, Enrico Mentana, risponde ad un commento su Facebook utilizzando il neologismo "webete", composto dalle parole web ed ebete
Un altro storico, Joseph Tainter, si è spinto ancora oltre sostenendo nel saggio "The Collapse of Complex Societies" che le civiltà non collassano a causa del sovraconsumo di beni prodotti dal mercato, una teoria molto in voga nell'intellighenzia liberal, ma crollano perché incapaci di produrre strategie per gestire la complessità originata dai cambiamenti economici e tecnologici. Il futurologo indiano Parag Khanna, già super consulente di vari Presidenti americani, ha indicato come principale pericolo per il futuro delle nostre società liberal-democratiche proprio l'impatto del profluvio di informazioni dei new media sul tessuto socio-politico. Sempre Khanna ha evidenziato i problemi di fronte cui sono poste le democrazie liberale a causa dell'irrazionalità del dibattito pubblico. Quella di oggi è la società più alfabetizzata, automatizzata e informata di sempre, eppure un gigantesco numero di persone crede a tutto e solamente a ciò che si muove nei circuiti mediatici. Come sottolinea il politologo britannico John Keane in "Democracy and Media Decadence", qualsiasi forma di ricerca della verità sia di fronte a catastrofi naturali, avvenimenti storici o dibattiti politici decade sempre di più all'interno di questa società contemporanea annegata dai media.
Nella democrazia mediatizzata oltre al sovraccarico di informazioni si somma un sovraccarico di decisioni sulla politica dato dalla quasi totale impossibilità dei governanti di "affrontare" i governati con riforme di lungo periodo, quindi spesso impopolari, pena la "rivolta" mediatica ed elettorale a suon di informazioni false diffuse su ampia scala, messaggi ultra semplificati e promesse irrealizzabili degli avversari. Così, di fronte alla complessità si origina la paralisi, primo passo verso il collasso del sistema. Le variabili in gioco che originano il problema della progressiva irrazionalizzazione del dibattito pubblico sono troppo ampie e diffuse per poter essere controllate e si può solo cercare di governare e controllare tale pericoloso processo. A partire dalle istituzioni, perché la democrazia dipende dalla partecipazione delle masse, ma oggi meno che mai ne garantisce la saggezza. Non si può avere paura di costruire sistemi politici più stabili e decidenti né di ricorrere quando occorre alla tecnocrazia di fronte ad un dibattito pubblico che si fa sempre più umorale, superficiale, infestato dalla menzogna a buon mercato e capace di diffondersi pervasivamente nella società.