Alla Mostra del Cinema di Venezia, una conferma: stare lontani dai film con le isole
THE LIGHT BETWEEN OCEANS di Derek Cianfrance (concorso)
Da tempo guardiamo con sospetto i film con le isole, qui si conferma il pregiudizio (che ormai, dopo ampia casistica, è scienza dimostrata). In un colpo solo, potrebbe stroncare le carriere di Michael Fassbender e Alicia Vikander. Il guardiano del faro e la consorte che non riesce a far figli, nonostante i molti accoppiamenti nella rossa luce del tramonto. Finché le onde portano una bimba, sbrigativamente adottata (quindi foriera di guai). Melassa che cola, ai limiti dell’indecenza.
ARRIVAL di Denis Villeneuve (concorso)
Sul manifesto, il gigantesco ciottolo nero già inquieta. Sarà la navicella con cui arrivano gli extraterrestri? Ne sono atterrate altre, in giro per il mondo. Sale a bordo Amy Adams, professoressa di Linguistica che parla persiano e mandarino, passando per il sanscrito. Cerca di stabilire un contatto, non è facile con alieni che schizzano nero di seppia. Temiamo il prossimo passo: un film sulle scie chimiche.
THROUGH THE WALL di Rama Burshtein (Orizzonti)
La regista – ebrea ortodossa – adora i matrimoni. “La sposa promessa” raccontava una ragazza impalmata dal cognato vedovo. Questo – altrettanto bello, potremmo intitolarlo “Cocciutaggine” – racconta una ragazza che ha comprato il vestito e prenotato la sala ricevimenti. Il marito glielo troverà Dio. Seguono molti appuntamenti al buio, uno più disastroso dell’altro. Ma lei ha fede (e per conforto si fa leggere le interiora di pesce).
LES BEAUX JOURS D’ARANJUEZ di Wim Wenders (concorso)
Gli scrittori nei film sono sempre idioti (qui, con la complicità di Peter Handke che ha scritto il monologo). Il gran bollito Wenders usa il 3D – costoso, e a rischio mal di testa – per dare spessore a un’antipatica coppia. Sono bruttini, malvestiti, chiacchierano sotto il gazebo. Di sesso, in teoria. Lui perché sia tutto più chiaro maneggia e annusa una mela. Di legno, che costa più di quelle vere.
Mariarosa Mancuso
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Inaugurazione di Venezia 73. Titola il Corriere.it: “Tripudio di folla per l’on. Daniela Santanchè e Dimitri d’Asburgo Lorena”. I fan sono in visibilio, “Siete bellissimi!”, “Il più bell’abito è il suo! Non le manca nulla!”. Le chiedono di chi è il vestito fantasia. Replica: “Di nessuno, è un omaggio ai fiori”. Cronista: “Posso dire che siete innamoratissimi?”. “Libertà di stampa”, ribatte l’onorevole. Sonia Bergamasco perfetta nel ruolo ingrato di madrina, in nude-look Armani, aderente sopra e plissettata in fondo, trucco leggero, chignon. Era l’epigona aggiornata di Marlene Dietrich nel suo storico abito da concerto di Jean Louis. Ancora sul red carpet: Marina, Carlo e Andrea Ripa di Meana, Marina e Benedetta Cicogna, Marilù Gaetani d’Aragona, Jeremy Irons (ottima la sua introduzione-biografia per il Leone alla carriera Jerzy Skolimowski), il ministro della cultura Dario Franceschini, la sua omologa francese Audrey Azoulay, Salvo Nastasi, vicesegretario generale di Palazzo Chigi, Cristiana Capotondi (“Tommaso” fuori concorso), Marina Valensise, rientrata in Italia dopo avere diretto l’Istituto di cultura italiana Parigi, e Antonio Monda (Festa di Roma). Il discorso di Paolo Baratta era appropriato e in italiano.
Invece al mattino, alla presentazione alla stampa, aveva parlato in inglese, con mormorii dei cronisti non anglofoni. “Ma siamo in Italia!”. Curiosamente, alla conferenza stampa a Roma, il presidente era stato tutto il tempo con un auricolare della cuffia per le traduzioni all’orecchio, durante il discorso di Barbera e persino quando parlava lui medesimo – un funambolo auditivo, perdinci. Si dice che controllasse la traduzione inglese (il suo è perfetto). Alla pre-apertura, il delegato generale del Festival di Cannes, Thierry Frémaux, ha presentato un prezioso filmato del Cinématographe Lumière del 1896 girato a Venezia. I suoi commenti in francese erano assai interessanti ma senza traduzione alcuna. On était abasourdi.