“Arriva il diavolo!”. L'epopea del carroarmato, che oggi compie 100 anni
Dalle prime versioni di inizio Novecento fino alle guerre civili: i campi di battaglia che fecero la storia dei "mostri di acciaio".
Il carro armato, icona militare del XX secolo, compie cent’anni. Fu il 16 settembre del 1916 che nelle trincee tedesche, a Flers Courcelette, un soldato all’improvviso gridò: “Arriva il diavolo!”. I camerati accorsero a vedere, e secondo quanto avrebbe ricordato un mitragliere, si videro venire incontro 32 “grandi mostri di acciaio che si avvicinavano lentamente, a fatica, dondolando, oscillando, ma sempre avanzando”. Non diversa è la testimonianza dei fanti inglesi che si trovavano dall’altra parte. “Enormi mostri meccanici, come non ne avevamo mai visti”. “Nessuno sapeva cosa erano, eccetto che erano dei nostri”.
In realtà, un tipo piuttosto simile di “corazzate di terra” era stato immaginato nel 1903 in un racconto di Herbert George Wells. Un vero e proprio carro armato chiamato Burstyn Motorgeschütz era stato invece brevettato nel 1911 dal tenente austriaco Günther Burstyn, ma a Vienna non ne era stato fatto niente per ragioni di bilancio. Le autoblindo esistevano invece dal 1898, ma allo scoppio della Prima Guerra Mondiale si vide che erano inutili per lo scenario della guerra di trincea.
Per risolvere il problema dello stallo rappresentato dalla terribile capacità di interdizione dell’accoppiata filo spinato-mitragliatrice i tedeschi lavorarono su quello che oggi definiremmo il software: un tipo di tattica di infiltrazioni affidata a reparti di fanteria armati di mitragliatrici leggere, che in effetti a Caporetto avrebbe funzionato con teutonica e micidiale efficacia. Gli inglesi, specie per iniziativa dell’allora Primo Lord dell’Ammiragliato, Winston Churchill, puntarono invece sull’hardware. Il Mark I, sviluppato a partire dall’esperienza dei trattori agricoli, fu definito in codice “serbatoio di acqua”, per occultarne il segreto. E il sinonimo di “Tank” è rimasto, in versione “maschio” col cannone e “femmina” con mitragliatrice, a forma di rombo con corazzatura da 10 mm e velocità in piano da 6,5 km/h. Il Mark I si mosse per la prima volta il 16 gennaio 1916 e fu consegnato al primo equipaggio ad agosto. Ma il primo luglio, per alleggerire la tremenda pressione tedesca sugli alleati francesi a Verdun, le forze britanniche avevano attaccato il fronte della Somme. “Fronteggiarono la grandine mortale/ di cannoni e mitragliatrici/ attraverso le bombe che scoppiavano/ e l’inferno della terra di nessuno”, ricorda una canzone dedicata alla 36esima divisione dell’Ulster: l’unica che riuscì di slancio a conquistare le posizioni nemiche, per trovarsi poi lì isolata a ricevere tutto l’urto della controffensiva tedesca. “Allora furono tagliati fuori/ con nessun ad appoggiarli/ furono investiti/ da fuoco su tre lati”.
Furono 19.240 i caduti britannici in quella prima giornata. Erano diventati 420.000 quando il 18 novembre la battaglia si concluse, accanto a 420.000 tedeschi e 195.000 francesi. Proprio per cercare di porre fine a questa carneficina i primi Mark I furono mandati all’attacco, anche se erano ancora pochi e con equipaggi poco addestrati. Metà dei carri armati fu distrutta, dimostrando subito che in realtà l’invulnerabilità della nuova arma era più apparente che reale. Ma il gran numero di prigionieri tedeschi catturati, terrorizzati dallo spettacolo dei cadaveri schiacciati sotto i cingoli, dimostrò che in compenso poteva avere un enorme effetto psicologico, se utilizzata nel modo corretto. Il 17 dicembre del 1917 a Cambrai i carri armati furono utilizzati per la prima volta in massa, 400 su un fronte di 8 chilometri. Attaccando senza la consueta preparazione di artiglieria colsero i tedeschi di sorpresa, ma la breccia aperta non fu sfruttata per il ritardo della fanteria: altro insegnamento, sulla necessità di coordinare carri armati e fanti. Presto anche altri paesi si dotarono della nuova arma, e il 24 aprile 1918 ci fu a Villers-Bretonneux il primo scontro tra carri armati, inglesi e tedeschi.
L’epopea era appena iniziata. Hemingway testimoniava come durante la Guerra Civile spagnola ancora c’era chi concepiva i carri armati come semplice artiglieria mobile, e all’inizio della Seconda Guerra Mondiale gli anglo-francesi pur avendo più carri armati e di miglior qualità li dispersero in appoggio alle unità di fanteria. I tedeschi invece li concentrarono in divisioni corazzate appoggiate dall’aviazione e incaricate di sfondare e correre in avanti, lasciando alla fanteria il compito di ripulire dietro di loro. E così conquistarono la Polonia e poi la Francia. In realtà teorie di impiego simile le avevano sviluppate in Francia De Gaulle, e nell’Unione sovietica Tuchačevskij. Su suo impulso l’Armata Rossa aveva iniziato a dotarsi di carri armati pesanti che riuscirono infine a sconfiggere quelli della Wermacht in quelle che restano tutt’ora le più grandi battaglie di carri della storia.
Altri grandi combattimenti tra carri furono in Nord Africa tra gli italo-tedeschi di Rommel e gli inglesi. Nel deserto, tuttavia, la conquista di territorio è meno importante che non la distruzione del nemico. In Africa le battaglie di carri assomigliano piuttosto a battaglie navali: il primo schema, quello di aggiramento e sfondamento dei carri tedeschi e sovietici nella Seconda Guerra Mondiale, fu quello cui si prepararono le divisioni corazzate messe in campo da Nato e Patto di Varsavia durante la Guerra Fredda. Il secondo schema, con i suoi avanti e indietro nel deserto, è stato quello delle guerre tra Israele e gli arabi. Tuttora le unità corazzate più iconiche nell’immaginario collettivo sono quelle tedesche, sovietiche e israeliane. In realtà, fin dalla Seconda Guerra Mondiale le unità corazzate in assoluto meglio organizzate sono state quelle statunitensi, che Malaparte descrive nel loro ingresso a Roma nel 1944, e che ancora di recente hanno vinto due guerre in Iraq.
Proprio per la sua portata psicologica il carro armato per le strade nella seconda metà del XX secolo è stato anche un potente strumento di intimidazione dei civili: dai carri armati sovietici a Budapest nel 1956 e Praga nel 1968, a quelli cileni durante il golpe di Pinochet, a quelli cinesi sfidati dal manifestante della Tienanmen. Ma proprio a Budapest nel 1956 i pur scalcagnati ribelli ungheresi dimostrarono quanto i carri armati possano essere vulnerabili in un ambiente urbano. Nel 1987 durante la cosiddetta “guerra delle Toyota”, le rapide camionette dei ciadiani armate con missili anticarro forniti da Parigi distrussero gran parte dei carri di Gheddafi.
Qualcuno affermò che l’èra del carro armato si fermò proprio in Ciad. In realtà, il carro armato è tutt’ora un’arma fondamentale sebbene le armi anticarro si siano fatte via via sempre più potenti. Ma tutto il mondo delle armi è in rapida trasformazione, e forse saranno i carri armati drone a rinnovare la secolare epopea.