Il Figlio
Arrivare tardi al primo giorno di scuola, ma con lieto fine
Il primo giorno di prima media padre e figlio sono usciti dalla finestra. Hanno scavalcato un muretto, e poi un’inferriata con le punte, mentre la sorella piccola, dalla finestra, urlava: “Papà, non morire proprio oggi!”. Sono saltati sul balcone della vicina di casa, con lo zaino e i capelli pettinati, e hanno bussato forte al vetro. La signora dormiva, è arrivata in vestaglia e ha urlato: aiuto! Il padre le ha urlato: scusi! Stia tranquilla, ma la porta di casa è bloccata, dobbiamo andare in prima media, possiamo uscire da casa sua? Sta per suonare la campanella, siamo in ritardo, la prego ci aiuti, siamo i suoi vicini, ci riconosce? La signora si è infilata gli occhiali, ha guardato prima il padre, poi il bambino con lo zaino di Star Wars e i capelli già sudati, si è ricordata di quando quel padre l’aveva aiutata con una cassa d’acqua, ha tirato un sospiro e ha aperto la porta finestra. Ma si è ricordata subito dopo di quando il figlio le aveva tirato una pallonata sul vetro, e ha gridato: ma volevate farmi venire un infarto?
Con tutte le cose che si leggono sui giornali. Il padre, già nervoso e dolorante per avere scavalcato un’inferriata con punte aguzze, ha spiegato che i ladri avevano cercato di forzare la serratura di notte, senza riuscirci, e che non c’era più modo di uscire di casa. “Mio figlio deve andare a scuola, oggi c’è l’accoglienza, è molto importante, ci faccia passare”. La signora in vestaglia e occhiali ha liberato la porta dalle otto mandate con cui l’aveva chiusa dall’interno la sera prima, e ha sospirato: “Che mondo, che gente”. Padre e figlio si sono lanciati giù per le scale, volando, si sono lanciati dentro l’automobile, volando, il padre ha messo in moto, volando, e poi non hanno volato più perché la strada era bloccata dai lavori in corso. Ma sono arrivati comunque a scuola, l’auto abbandonata con le quattro frecce accese da qualche parte, erano lì in tempo per il saluto della preside ai nuovi iscritti, nella palestra in cui erano riuniti tutti, insegnanti, ragazzi, e soprattutto genitori.
Genitori arrivati con un anticipo di venti minuti sulla campanella, con i vestiti asciutti nonostante la pioggia, seduti e con un blocchetto in mano per segnare le cose importanti. Decisi a farsi notare, a rubare tutte le domande migliori, genitori già arrabbiati perché non è stato ancora messo online il cognome del professore di Tecnologia e il registro elettronico, genitori desiderosi che il figlio sia il migliore della classe o almeno il preferito della professoressa di Lettere (anche quella di Matematica va bene, però Francese no, Francese non è abbastanza una materia dominante, e quello di Arte ha detto cose anche belle sull’idea di disegnare ciascuno un aquilone per celebrare l’Infinito di Leopardi, ma insomma Arte non basta per essere importanti, quindi si può chattare mentre parla e interromperlo per chiedere quanto costa il corso pomeridiano di metodo di studio), genitori convinti che, se la preside si ricorderà, questa prima mattina di scuola, della loro faccia preoccupata ma vigile, attenta, critica, se verrà colpita e intimorita da quella domanda così precisa (“Quanto ha calcolato di impegno medio giornaliero per i compiti a casa, in termini di ore da cinquanta minuti?”), allora anche il figlio resterà comunque impresso nell’inconscio collettivo di tutta la scuola, e trattato con un occhio di riguardo dai professori.
Il padre che ha scavalcato l’inferriata per arrivare lì si appoggia al muro, stanco, ma ecco che una madre lo riconosce, gli dice ma tu non sei quello della tivù, quello del programma di denuncia, e il padre dice sì, in effetti sono io, però ho scavalcato un’inferriata, non mi sento molto bene, ma la madre urla: signora preside, c’è qui quello della tivù, facciamogli fare qualcosa sulla nostra scuola! E tutte le madri e i padri gli si fanno intorno, anche quelli che fino a un istante prima piangevano per la commozione della prima media, anche quelli che non volevano staccare la mano dalla mano della figlia, anche quelli con il blocchetto pieno di domande ancora da fare, e all’improvviso nessuno pensa più ai bambini, e al loro primo giorno di scuola, e al sapere che li renderà liberi, e al corso di inglese il pomeriggio, e i bambini, rimasti fino a quel momento immobili sulle seggiole, anche un po’ impauriti, ricominciano a respirare, buttano lo zaino per terra, ridono, i maschi fanno la lotta.
Anche tu sei in Prima Effe?, chiede la bambina magra al bambino con i capelli sudati. Sì, ma sono arrivato tardi perché non si apriva la porta di casa, siamo saltati sul balcone di una signora che mi odia. Anche io sono arrivata tardi, il motorino di mia madre non partiva e pioveva, abbiamo preso la metropolitana correndo, mia madre ha pianto, ma è quello tuo padre? Il bambino gira la testa verso l’uomo stanco appoggiato al muro, circondato da tutti i genitori della scuola, e dice fiero: “Ha scavalcato un’inferriata per portarmi qui”. Allora la bambina corre dalla madre, che sta scappando via, le dà un bacio sulla guancia senza nemmno vergognarsi e le dice: ciao mamma, qui va già molto meglio.