Il Figlio
Figli? Io? Per carità
"Ho due bambini e un mutuo da pagare”. Era in cima alla lista delle frasi da non pronunciare mai – per nessun motivo, neppure in risposta a una domanda diretta – al primo appuntamento con un uomo. L’“articolo, o “listicolo” (perché di liste moriremo, sono la nuova frontiera del giornalismo) stava in un numero di Elle mai più dimenticato. La nonna o una zia saggia avrebbero potuto dare lo stesso consiglio, ma le avremmo prese meno sul serio.
Poiché ormai gli uomini si appropriano di tutto (vale per la cucina, per le creme costose, per la posta del cuore), “Se permetti non parlarmi di bambini” ha un maschio per protagonista. Fiero genitore – separato – di Sofia che ha nove anni, Gabriel sta cercando da altrettanti di laurearsi in Architettura (gli mancavano tre esami quando la moglie era incinta e gliene mancano tre ora che gli ha preferito il maestro di judo). Per mantenersi lavora nel negozio di strumenti musicali ereditato dal nonno. Inutili i tentativi degli amici di fidanzarlo (dice lei) o di presentargli una con cui scopare (dice il di lei consorte). Gabriel parla solo della figlia, mostrando le foto sul telefonino: “Questo era il primo giorno di scuola, ho impiegato due ore a farle le trecce”.
Al negozio di strumenti musicali si presenta Victoria, che al liceo era pazza di lui e giusto nove anni prima gli aveva proposto un viaggio insieme, mentre facevano i rispettivi passaporti (a Buenos Aires, dove il regista Ariel Winograd è nato nel 1977, sembrano far funzione di speed-date). Persa un’occasione se ne crea un’altra, o almeno questo pensano le fanciulle sveglie. Appuntamento a una festa privata con tanto di parola d’ordine. No, non è “Fidelio”, non sono neppure nudi con le mascherine come nell’orgia di “Eyes Wide Shut”. Sono vestiti da discoteca, lei sfoggia alla scollatura una spilla “NO KIDS”.
A precisa domanda, la fanciulla risponde “E’ una nuova corrente di pensiero. Lo metti se non ti piacciono i bambini ma non vuoi passare per cattivo”. La fanciulla non conosceva evidentemente la definitiva battuta del comico americano W. C. Fields, da noi adottata come motto parecchio tempo fa: “Uno che odia così tanto i cani e i bambini non può essere completamente malvagio”. Gabriel tenta di aggirare l’ostacolo: “Non ti piacciono i bambini? E le bambine?”. La seconda volta che ne parlano – cinque minuti dopo, già mezzi spogliati – a precisa domanda e nel furore dell’arrapamento lui nega: “Io? Bambini? No che non ne ho”. Basta un attimo per mettersi nei guai, raccontati con talento comico sconosciuto ai film argentini, quando non sono girati da registi che si chiamano Ariel Winograd (oppure Cohn, Burman, Harari). Guai da genitore, e anche da figlio: il padre di Gabriel fa il mago – non così per dire, mette proprio le donne nel cassone e le taglia in due.
Come coniglio dal cappello, tira fuori un fratellastro – all’inizio sono tutti e tre in calzini e posizione yoga, l’ennesimo tentativo di ricomporre il conflitto. Nessuno riuscirà a sanare invece l’inimicizia dei doppiatori con l’italiano: “Cabrón”, che i parlanti spagnoli han sempre sulla bocca, vuol dire “stronzo” o “bastardo”, certo non “caprone” come dicono nel film. E il titolo “Per favore non parlarmi di bambini” sarebbe stato più contemporaneo e disinvolto (“se permetti” lo dicevano le nonne o le vecchie zie di cui non ascoltavamo i consigli).
I titoli di testa sono strepitosi - vengono presi a martellate i giocattoli e massacrate le Barbie, alcune nel frullatore, peggio che nell’asilo di “Toy Story 3 - La grande fuga”. Cose che abbiamo imparato, e diligentemente annotato sul quadernino: la nuova frontiera è l’ecografia in 4D. Per un attimo abbiamo pensato: “Ma che sarà mai? Ti stampano un pupazzetto di gomma con le fattezze del pupo o della pupa?”. No, è un bel video a colori, per cominciare il toto-somiglianze: “Tutta suo padre, tutto sua madre”.