Pauperismi no grazie
Più luce, disse Goethe. Più lusso, dico io. E non soltanto per le ragioni di sempre ossia per il contributo alla voluttà individuale (vedi Baudelaire) e quello alla prosperità universale (vedi Werner Sombart, “Lusso e capitalismo”, che essendo stato pubblicato nel 1922 precede Briatore di quasi un secolo). Le inaugurazioni romane rendono evidente che ormai il lusso contribuisce anche all’identità nazionale, salvando quei monumenti che i comuni depauperati, le province morenti, le regioni inadempienti, lo stato impedito dall’inflessibilità del superstato di Bruxelles non riescono più a mantenere. Senza la maison Bulgari i 144 gradini di poroso travertino della scalinata di Piazza di Spagna sarebbero rimasti color piscio di hooligan, mentre adesso biancheggiano come all’epoca in cui D’Annunzio ne fece scenografia per il “Piacere”. Mancano ancora le modelle ciociare in costume e i pretini che si rincorrevano in tonaca rossa ma tutto non si può avere, quel tempo è passato e nemmeno il miracoloso lusso è capace di riempire i seminari e resuscitare la pittura en plein air. Il meglio è nemico del bene, ringraziamo dunque i gioielli a forma di serpente per averci restituito un souvenir d’Italie, così come dobbiamo ringraziare le borse Fendi per i restauri del Colosseo quadrato e i mocassini Tod’s per quelli del Colosseo rotondo. La grande scritta sul palazzo dell’Eur ricorda che siamo “un popolo di poeti di artisti di eroi / di santi di pensatori di scienziati / di navigatori di trasmigratori”.
Non di restauratori. Diceva Longanesi che gli italiani alla manutenzione preferiscono l’inaugurazione, e lo si verifica osservando i condomini scrostati con le ringhiere rugginose, gli infissi rotti, le parti comuni in abbandono. Anche per via di questa costante antropologica non bisogna contare sull’intervento pubblico: se gli elettori non ci tengono perché dovrebbero tenerci gli eletti? Come molti secoli fa bisogna puntare sui principi, sui mecenati. Non esistono alternative, non è che le madame del Fai possono occuparsi di tutti i millanta castelli che la storia ci ha lasciato. Poi adesso oltre che con la povertà statale ci si deve scontrare col pauperismo clericale e grillino. Lasciando fare a sindache e vescovi in pochi anni il Foro Romano tornerebbe Campo Vaccino, pascolo di mandrie, e questa non sembra nemmeno un’idea malvagia, ne potrebbero sortire caciotte davvero a chilometro zero, ma senza interventi le colonne cadono, gli archi si spezzano, le fontane si seccano. Vedo, prevedo e stravedo un futuro piranesiano: molto pittoresco.
Più lusso ovvero più marchi: vorrei leggere sui cartelloni dei cantieri i nomi di Ferragamo e Ferrari, Maserati e Max Mara, Zegna e Brioni, Frescobaldi e Antinori, Berluti e Diesel, Kiton e Panerai… Non solo a Roma perché, non tutti lo sanno, fuori dal Raccordo anulare esiste una cosa di nome Italia il cui patrimonio architettonico è ancora più negletto. Per salvarlo oltre a nuovi soldi ci vogliono nuove funzioni: non si può pensare di trasformare ogni volume antico in spazio culturale o museo del merletto. Brunello Cucinelli in Umbria ha comprato un borgo su un cocuzzolo e dentro le vecchie case restaurate ci ha messo i suoi nuovi laboratori. E allora perché non si chiede alla De Agostini di trasferire gli uffici direttivi nella novarese Casa Bossi? Si aspetta che il capolavoro dell’architetto Antonelli crolli? Ad Alessandria hanno il problema della cittadella, forse la più grande fortificazione militare italiana: ci starebbe benissimo la Borsalino.