Il Figlio
In questi giorni starete sempre insieme, tu e il nonno: felici?
Mario si ritiene capace di ogni possibile prodezza. Abbiamo avuto più o meno questo dialogo:
- Lo sai che so fare pipì senza reggermi il pisello?
- Ma va’.
- E’ vero, nonno. E la pipì va diritta, non la faccio per terra. Tu sei capace?
- E’ rischioso.
- No, se la fai bene. Prova.
- Non se ne parla nemmeno. E tu non t’azzardare che bagni il pavimento”.
Mario ha quattro anni e suo nonno è partito da Milano, malvolentieri, per stare con lui a Napoli, nella vecchia casa dove anche il nonno è cresciuto, perché i genitori devono partire per un convegno. La figlia ha telefonato al padre una sera, più nervosa del solito, e alle sue rimostranze gli ha rimproverato i difetti di padre e di nonno. Lui allora ha accettato, l’ha rassicurata con toni affettuosi: starò con lui tutto il tempo che ti serve, ha esagerato con l’entusiasmo, ha detto che lui e Mario si sarebbero molto divertiti. Perché la figlia al telefono era più infelice del solito, perché un nonno deve avere voglia di passare del tempo con il suo nipotino, perché anche se non si è più abituati alla convivenza, alla vita insieme alle persone, ai non adulti, non lo si può dire, forse nemmeno pensare.
Non si può desiderare di restare soli e stanchi, a disegnare. Il nonno di Mario è un illustratore famoso, anche se la maestra di scuola non l’ha mai sentito nominare, ha un lavoro da consegnare, non vede suo nipote da due anni, sente addosso la vecchiaia, è vedovo e al centro di se stesso. Non è preparato a questo incontro con la vitalità, con la vita nuova, dolcissima e crudele, non è preparato all’energia che sprigiona ininterrottamente da un bambino di quattro anni “beneducato e insieme incontrollabile”. Mario apparecchia la tavola perfettamente, conosce una quantità impressionante di parole, sa usare la manopola del gas e cambiare le pile al telecomando, rifila pugni sulle gambe per attirare l’attenzione, vuole disegnare, giocare, usare il nonno come un cavallo, vuole fare bella figura e mostrargli tutta la sua potenza di bambino. Non sta mai zitto. Vuole vincere.
“Scherzetto”, l’ultimo romanzo di Domenico Starnone in uscita l’11 ottobre per Einaudi, è la storia di un incontro fra due maschi, uniti dal sangue e da due parole: nonno e nipote, dentro la casa e il balcone che una volta avevano contenuto la forza e la giovinezza del nonno, e avevano assistito alla sua fuga da un destino diverso. E’ un rapporto diretto, anche brutale, fra un vecchio che non vuole essere distolto dal suo mondo ma che è attratto e insieme esasperato da questo bambino ordinato e attento, capace di dirgli che i suoi disegni sono “troppo scuri” e insinuargli il dubbio di essere in declino anche come disegnatore, di essere invecchiato dentro i suoi quadri. Il vecchio e il bambino non lo sanno, ma sono in competizione, stanno facendo una gara per la vita migliore, per il futuro che è tutto nelle mani di questo saputello di quattro anni, innocente e purissimo nell’entusiasmo verso i giochi con il nonno, nell’affetto dei baci con lo schiocco, commovente perfino per lo slancio verso un uomo che ha visto due volte in tutta la vita e che per regalo gli ha portato due libri illustrati da lui invece di un giocattolo, e gli dice anche, infastidito dalle richieste: sta in camera tua e vedi di non disturbarmi.
Ma il bambino che si affaccia al mondo vuole che l’uomo che gli sta davanti, un semi sconosciuto in fondo, incarni la parola nonno in tutti gli angoli del possibile, vuole uno spettatore entusiasta delle sue prodezze, ma vuole anche qualcosa di più profondo: spaventarlo, mostrargli che tutto è cambiato, adesso, che il più forte è lui. Capace di sbloccare la porta del balcone, capace di uscire di nascosto da casa, capace di disubbidire e di essere buonissimo, capace di mettere in crisi l’intera costruzione di una personalità con la verità che sempre una vita nuova porta con sé, con le frasi che gli adulti nascondono e un bambino invece lancia addosso, a occhi spalancati.
In questo romanzo tagliente, appassionante, in cui si ride sempre con il cuore in gola, in cui c’è una fiamma che cresce, forse uno scontro, e in cui si ha sempre la sensazione che ogni porta della casa nasconda una rivelazione o una catastrofe, la paura che sentiamo è quella del nonno alle prese con il futuro, con la vita che è passata. Mario insiste per disegnare accanto al nonno, per lavorare con lui, prende un foglio e gli fa un ritratto, bellissimo, spaventoso. Gli porge il foglio. “Ho copiato come disegni tu”. “Mi sentii come se avessi ricevuto uno spintone così violento da mandarmi dal centro ai bordi del mondo. E mi ricordai di un altro urto altrettanto forte, quello che avevo avvertito da ragazzino quando non sapevo ancora niente delle mie capacità e le avevo scoperte tra meraviglia e spavento”.
Ma quello spintone era opposto, l’aveva gettato nella vita, pieno di ambizione e certezza nelle proprie capacità. Adesso questo spintone “rischiava di annientarmi”. Il bambino è veloce, prende la mira, colpisce nel segno, il nonno lo guarda, poi guarda se stesso, la fragilità nuova, e da qualche parte, insieme alla paura, cresce anche l’anima, di entrambi: nonno e nipote per mano in metropolitana.