Bufale feline
Rukmini Callimachi, reporter del New York Times specializzata sull’Isis, rumena naturalizzata americana che racconta con precisione il terrorismo islamico, sperava (per la prima volta nella sua vita tifava per qualcuno) che il Nobel per la Pace venisse assegnato a Nadia Murad, ventunenne yazida, rapita violentata e torturata per mesi dall’Isis nel nord dell’Iraq: Nadia è stata rapita da Kojo, il villaggio più colpito dall’Isis, ma prima ha assistito all’assassinio di sua madre e dei suoi sei fratelli. “Mia madre li ha visti mentre uccidevano i suoi figli, poi hanno preso anche lei e l’hanno uccisa”. Nadia è stata portata a Mosul, dove è stata venduta a un uomo, così come le altre sono state vendute a scopo sessuale, è stata punita e torturata perché aveva cercato di scappare, data in mano a sei guardie che l’hanno violentata fino a che è svenuta, segregata per tre mesi, e ha visto quello che facevano alle donne e agli uomini e alle bambine, fino a che è riuscita a fuggire, nel novembre del 2014, e invece di tacere per la vergogna e per la paura (molte donne yazide tacciono perché le loro sorelle, le loro cugine, sono ancora ostaggio dell’Isis, sono ancora dentro l’incubo) ha cominciato a girare il mondo raccontando la sua storia, offrendo il suo nome e il suo volto di ragazza invecchiata dall’orrore (adesso ha 23 anni) e i dettagli insopportabili da ripetere all’infinito, è diventata ambasciatore delle Nazioni Unite e continua a raccontare perché ha capito, scrive Rukmini Callimachi, “una delle tristi realtà di questo mondo: abbiamo bisogno di avere un volto per empatizzare”. Così continua a mostrarsi, a parlare, a denunciare il fatto che circa tremila Yazidi (per la maggior parte donne e ragazze) ancora adesso sono nelle mani dell’Isis e continuano a subire sofferenze indicibili. Lei è lì, ha un account twitter, @NadiaMuradBasee (ha vinto il premio Vaclav Havel), chiede perché il mondo non se ne occupa.
Forse perché il mondo si occupa di pubblicare foto di gattini in braccio a terroristi, di titolare sulla dichiarazione di guerra ai gatti dell’Isis, che vieterebbe la loro presenza nelle case di Mosul, con conseguente ordine di sterminio, soffermandosi sullo stupore perché insomma non è possibile, che scandalo, Maometto amava a tal punto i gatti da scegliere di tagliare la propria veste per non svegliare la gatta Muezza che ci dormiva sopra, quindi questa legge adesso è davvero incomprensibile. E’ una notizia raccolta da un sito iracheno non affidabile, rilanciata dal Daily Mail e ripresa dai siti dei più importanti giornali italiani, naturalmente con le foto dei gatti. In modo che si clicchi e ci si chieda: ma andranno di casa in casa a strappare i gatti dalle braccia dei bambini e annegarli? O saranno gli abitanti stessi di Mosul, ligi alla nuova legge islamica, a sgozzare i propri animali domestici? E che punizione è prevista per chi nasconde un gatto in soffitta? Ci si indigna, oppure si fanno battute sugli animalisti, si perde tempo a chiedersi che cosa pensava davvero Maometto dei gatti (differenze fra gatti maschi e gatte femmine?), e ci si scorda della realtà, che è così urgente, orribile, raccapricciante. Ci si scorda che a Mosul ci sono bambine per cui la vita adesso è peggio della morte.