Hanks vs Trump. L'everyday man arriva a Roma, ma alloggia a Villa Taverna
La Festa del cinema di Roma, l’undicesima dall’inizio e la seconda con la direzione artistica di Antonio Monda, si apre con una star famosissima in tutto il mondo, Tom Hanks. Il protagonista di film come “Salvate il soldato Ryan” e “Il ponte delle spie” è considerato l’erede di Jimmy Stewart, la quintessenza dell’Everyman americano, entrambi universalmente amati. Il protagonista di “Inferno” (terzo film della saga pseudo-metafisica di Dan Brown) è popolarissimo persino in Russia, secondo una giornalista della tv in lingua inglese Russia Today. Dopo aver reso il tappeto rosso fradicio per la pioggia, è entrato in Sala Petrassi per la conferenza stampa. Monda gli chiede se vuole sentire le domande in cuffia tradotte o direttamente in inglese. Hanks risponde con una boutade, indicando la platea di giornalisti in palpitante attesa: “Whatever will keep the savages cool” (“Fate come volete, purché teniate sedati i selvaggi”).
Il sessantenne divo “normale” – arrivato in aereo privato con tutto il suo entourage, e ospite durante la permanenza a Roma a Villa Taverna, residenza dell’ambasciatore americano John R. Phillips – alternava risposte tra lo scherzoso e il serioso quando Monda gli ha chiesto un’opinione sulla pazza campagna presidenziale negli Stati Uniti. “Ogni quattro anni si celebra il solito rito circense organizzato per scegliere un nuovo leader per il nostro paese”. Per riferirsi alle bizzarrie pazzotiche di Trump usa anche la parola “crapfest” (merdafest). “Ci sono sempre stati personaggi Repubblicani come l’attuale chiacchierone autoreferenziale”. (Ma “self-involved gasbag” è più divertente). Procede facendo i nomi del solito Joseph McCarthy e Wendell Wilkie, quest’ultimo reo di essere stato un uomo d’affari che ha fatto irruzione nella campagna presidenziale del Partito repubblicano nel 1940. Interrogato su quale sia la soluzione per sconfiggere i demagoghi, Hanks fa un lungo sproloquio sui mali dell’ignoranza, un’ignoranza promossa da candidati senza scrupoli, e sull’essere poco informati: “La verità rende liberi”. Per due volte fa l’imitazione di giornalisti italiani che in claudicante inglese gli chiedono conto di The Donald. Hanks gonfia il petto e risponde tirando in ballo Berlusconi, come se un gentiluomo spiritoso potesse essere paragonato a un iracondo infame. Dalla platea, una giornalista gli grida in inglese, “Alla faccia dell’ignoranza! Lei è banale e mal informato”. Il divo dà segno di non aver capito bene e la frase è scandita ancora. La coglie e cambia subito argomento. Va meglio quando parla del suocero bulgaro (n.b. poi convertito greco-ortodosso) “fuggito dai comunisti bulgari nel 1949 e approdato in America, che reputa il più grande paese del mondo, anche perché era riuscito a comprare una casa per la sua famiglia con le mance accumulate nel bar che gestiva”.
In quanto al cinema-cinema, Alice nella città (“sezione autonoma e parallela”, definizione ripetuta all’infinito) apre con “Tre generazioni”. Racconta la sedicenne Ramona (Elle Fanning) che desidera operarsi per diventare Ray. La mamma (Naomi Watts) è disperata, la nonna gay (Susan Sarandon) non capisce: “Perché non le basta fare la lesbica?”. Più che “middlebrow” (di cultura media), il film ricorda gli After School Specials, fiction tv edificanti per ragazzi. Ancora ormoni in disordine, ma di qualità infinitamente superiore, nel film d’apertura della Festa vera e propria, “Moonlight”. Senza star ma osannato ai festival di Telluride e Toronto, racconta un ragazzino del ghetto nero di Miami, che cresce in ambiente di droga e machismo, che scopre la propria omosessualità. Alla faccia di Repubblica, che ha annunciato come film di apertura quello di Pif, passato in anteprime mercoledì. Fact-checking time in Largo Fochetti?