Il Corriere non capisce che la retorica delle autonomie locali ha distrutto l'Italia
Nell’amaro editoriale di domenica scorsa sul Corriere della Sera, “La bellezza perduta nelle nostre città”, Ernesto Galli della Loggia ha denunciato la riduzione delle “più belle città italiane” e di “molte delle località cosiddette minori” a una “informe paccottiglia turistico-commerciale”. Per contrastare il degrado del paese che detiene il più vasto patrimonio artistico del globo, lo storico avanza una serie di proposte “antidemocratiche”: dare al Ministero dei Beni Culturali, attraverso le Soprintendenze, “la facoltà di porre il veto su un certo numero di atti amministrativi” a favore delle categorie interessate allo sfruttamento dei flussi turistici; “mettere le polizie locali”, spesso assenteiste e conniventi, “agli ordini di un ufficiale dei Carabinieri temporaneamente distaccato in aspettativa dall’Arma”. “In società dal fragile spirito civico come la nostra, abitate da interessi privati furiosamente indisciplinati, la pedissequa applicazione del suffragio elettorale può spesso risolversi in un danno reale e grave inferto proprio ai valori sostanziali, al bene comune, per la cui difesa la democrazia è stata pensata”.
Ernesto Galli della Loggia (immagine di Wikipedia)
Concordo toto corde e, tuttavia, le considerazioni dell’amico Galli della Loggia richiamano malinconicamente le analisi spietate che i critici del parlamentarismo – ricordati in un recente, equilibrato, saggio da Tommaso E. Frosini – rivolgevano, tra Otto e Novecento, all’Italia sabauda e liberale. “Al pari di ogni altro politico l’interesse primo di ogni sindaco è quello di essere rieletto (…) egli dunque non deve assolutamente dispiacere ai propri elettori. Soprattutto là dove il turismo è una risorsa essenziale ciò significa non dispiacere alle categorie che vivono più o meno direttamente del turismo: ai commercianti, agli albergatori, ai ristoratori, ai tassisti, ma anche alla connessa proprietà edilizia e a tutta la pletora di “abusivi” che ruota intorno all’organizzazione dell’ospitalità (tipo i finti “centurioni” o gli autobus-chiosco diffusi a Roma).
Tutti segmenti sociali, quelli appena detti, abituati a organizzare in modo ferreo il proprio voto amministrativo e ad allocarlo su chi promette di non impedire loro di continuare a sfruttare strade, piazze e monumenti per il proprio esclusivo interesse. Nove volte su dieci determinandone così la vittoria”. Gli Scipio Sighele, i Giorgio Arcoleo, i Gaetano Mosca avevano in mente i tabaccai e le croci di cavaliere distribuite generosamente ai piccoli elettori locali (lo ricorda Eduardo Scarpetta in una scena del Turco napoletano): nihil novi , dunque, sotto il bel sole d’Italia. Sennonché, a pensarci bene, la democrazia, che trova nel suffragio universale il suo “tetto” naturale, in un paese caratterizzato da una classe media sempre più debole, da masse di cittadini sempre più insicuri, che aspettano la manna dal cielo dello stato, cosa rimane all’uomo della strada, al negoziante, al piccolo imprenditore “senza spalle”, se non il voto di scambio, il do ut des che, in cambio di una concessione, assicurerà al politicante il voto di tutta la famiglia?
“E’ la democrazia, bellezza!”. Quanto meno moderno è un paese, tanto più le degenerazioni clientelari diventano una prassi normale. Il vecchio Aristotele aveva legato la politeia (la forma di governo antica meno lontana dalla democrazia dei moderni) all’esistenza di una robusta classe media: le società anglosassoni gli avrebbero dato ragione ma e contrario gli avrebbero dato ragione anche quei paesi nei quali, per l’esiguità delle risorse, la conquista del potere politico sarebbe stato un “grosso affare”, un modo per sistemarsi e sistemare parenti, amici e clienti. In Italia, la retorica delle “autonomie locali” – un dogma per i democratici di tutte le gradazioni – ha allargato effettivamente la democrazia, ma, in mancanza di basi sociali adeguate, ha dilatato pure le degenerazioni clientelari, gli sprechi di denaro pubblico, le collusioni che in certe regioni non riguardano più i tabaccai o i venditori di souvenirs d’Italie ma le cosche, le ndranghete, le mafie ovvero i padroni dei serbatoi di voti. Trinacria docet.