Al Festival di Roma i registi stranieri sono bravi a fare i compiti. Quelli italiani portano la giustificazione
Lo si guarda, scena dopo scena, e si stenta a credere che siamo nel 2016. I Biechi Padroni hanno venduto la Fabbrica agli Stronzi Francesi, le Oneste Operaie temono per il Sacro Posto di Lavoro. Tutto con le maiuscole, stabilisce Michele Placido nel suo film “7 minuti” (ieri alla Festa di Roma). All’origine, un lavoro teatrale di Stefano Massini: il testo esce da Einaudi, Alessandro Gassman lo ha messo in scena con Ottavia Piccolo che recita anche nel film.
L’attrice ha il ruolo della Barricadiera Rappresentante del Consiglio di Fabbrica, cinque ore in riunione con i vecchi padroni – si capisce che son vecchi perché molestano le operaie – e la multinazionale che a trattare manda una femmina in pantaloni e tacchi alti. Mentre la sindacalista ha scarpe comode, l’artrosi, una gonna che più mesta non si può. Una donna contro le altre donne, Orrore! (altra maiuscola di Michele Placido, che da settimane rilascia interviste su “la Fatica delle Donne”). Lo stabilimento non chiude, fuori le altre operaie acchiappano il tamburello per festeggiare. La sindacalista gela gli entusiasmi: “Ci sarebbe una clausola”. Sette minuti di pausa in meno tra un turno e l’altro. E chi non firmerebbe? Dopo la grande paura, soprattutto. La sindacalista, appunto, convinta che ai padroni non bisogna concedere neanche sette minuti. Le altre prima non ci credono, poi la insultano, poi si dividono tra italiane e straniere, più propense a fare concessioni. Urlano dall’inizio alla fine, mettono in piazza i fatti personali, e tutte – da Ambra Angiolini a Maria Nazionale passando per Fiorella Mannoia (come poteva non esserci?) – recitano sopra le righe. Lo impone il regista per aumentare il pathos, con il risultato di renderle tutte odiose. Soprattutto le immigrate, che paiono messe in scena da un regista leghista in uno spot intitolato: “Vengono qui per rubarci il lavoro”. Da dimenticare (anche se “7 minuti” sarà in sala a novembre).
Da ricordare invece, sempre alla Festa di Roma – che mischia le carte, dopo aver sanamente rinunciato al concorso e alle sezioni, tranne l’indipendente e autonoma “Alice nella città”, difficile però spiegare la situazione ai non addetti – “The Hollars” di John Krasinski. Quel naso buffo lo avevamo visto aggirarsi tra le scrivanie della serie “The Office”, remake americano. Qui racconta un giovanotto che torna nella cittadina dove è nato, la mamma ha un tumore al cervello. Niente di nuovo. Anzi, uno dei terreni più battuti dal cinema indipendente. Però il film si fa guardare, per una serie di palle a effetto che sorprendono in un gioco conosciuto. Morale della favola (e della Festa di Roma). I registi stranieri sono bravi a fare i compiti. I registi italiani portano la giustificazione: i precari di Airbnb, le operaie, la barista pendolare.