"La Scuola di Atene"

Il Foglio protocollo – Lotta di classe

Lo sgomento dei ragazzi davanti alla filosofia di Parmenide

Antonio Gurrado
Per evitarle di affogare nella stramberia di Talete sarebbe meglio partire subito da Parmenide, shock e terrore degli adolescenti. Al filosofo campano premeva comunicare la ferma convinzione che “solo l’essere è, il non essere non è”; questa frasettina è il momento in cui gli adolescenti si accorgono che esistono pensieri impossibili a smontarsi.

La filosofia nasce della meraviglia: sorge spontanea dalle domande cui l’uomo non trova risposta, tanto che per certi versi può essere considerato primo filosofo il primo uomo che, guardando il mondo, si accorse si non riuscire a capirlo. Per questo ancora oggi la filosofia non trova risposte definitive ma pone domande sempre nuove o meglio, come disse un giorno Massimo Cacciari, la filosofia anziché guarire ammala. Il suo senso intrinseco sta nell’essere specchio nelle incertezze del mondo e del continuo tentativo di comprendere, che è l’inesausto sforzo di ogni uomo il quale, in ogni tempo, sa di non disporre di punti fermi. Dinanzi al mondo, l’uomo è sempre fremente e incerto come gli studenti di terza liceo all’imbocco del triennio: per questo a costoro viene vivamente consigliato di intraprendere lo studio della filosofia partendo da Talete di Mileto, secondo il quale il principio alla base del mondo è l’acqua.

 

L’acqua? Poveri tapini, i ragazzi di terza liceo. Arrivano da un’estate in cui hanno nutrito idee vaghe e confuse speranze riguardo a questa materia nuova ignota e la prima domanda che pongono al professore di filosofia è invariabilmente: “L’acqua? Ma davvero?”. Si guardano, s’interrogano sul perché la filosofia debba essere sottoposta a parto acquatico, e sul perché il professore debba mai esordire sforzandosi di esortarli al pensiero idraulico come se fosse l’approccio più normale.

 

Hanno sedici anni (lo segnalo al ministero competente) pertanto sono dotati di discernimento sufficiente a vedere deluse le proprie aspettative e sarcasmo bastante a seppellire una volta per tutte una materia tanto presuntuosa, che pretende di spiegare il loro mondo complessissimo con l’acqua. Con l’aria. Con l’apeiron di Anassimandro, che oggi otterrebbe il ricovero coatto. Col fiume in cui non ci si può bagnare due volte. Con le ossessioni di Pitagora: li colpisce oltremodo la proibizione di mangiare fave ma non ne colgono immediatamente la connessione con la filosofia, con le inesauribili questioni poste da ciò che ci circonda. Quando l’ordine cronologico concede di arrivare ai filosofi coinvolgenti – ossia quei greci che riuscivano a parlare al cuore degli uomini d’oggi – i sedicenni sono già persi, annoiati e disillusi, pronti a ridere delle idee più serie.

 

Tra filosofia e opinionismo

 

Tecnicamente, al liceo viene chiamata filosofia la storia della filosofia, materia ben differente. La prima è produzione originale di pensiero, la seconda ricognizione critica dei pensieri prodotti nel tempo; confonderle equivale a non saper distinguere un cavallo da un fantino. E’ giusto che si studi storia della filosofia perché far imbastire teorie interpretative a chi non ha contezza di quelle prodotte da altri più bravi, prima di lui, trasformerebbe la filosofia in opinionismo e le ore di lezione in incontrollata tortura dell’intelligenza pudica. Che la si chiami filosofia o storia della filosofia, per evitarle di affogare nella stramberia di Talete sarebbe meglio partire subito da Parmenide, shock e terrore degli adolescenti. Non che faccia meno ridere, l’idea di uno che dalla Campania parta per Atene mosso dall’esclusiva premura di comunicare la ferma convinzione che “solo l’essere è, il non essere non è”; però questa frasettina è il momento in cui gli adolescenti si accorgono che esistono pensieri impossibili a smontarsi.

 

Al migliore della classe appare banale, ai più pragmatici appare astruso, eppure questo primo concetto puramente astratto della loro vita si mostra inattaccabile e li scorna. Partono baldanzosi per distruggerlo tanto quanto l’acqua, l’aria, l’apeiron e le fave, ma si trovano a dover girare attorno a una cittadella impenetrabile da millenni. Benissimo: la loro filosofia deve iniziare fallendo, perché così iniziano a utilizzare la ragione e a rendersi conto della dismisura del suo funzionamento, mentre da qualche parte Parmenide se la ghigna scoprendo che gli antichi ateniesi avevano reagito con lo stesso identico sgomento dei nati dell’anno duemila.

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