Nell'astronave del degrado che è Roma, teniamoci stretti la Nuvola
E’ solo quando vedi lo spot Rai che ti convinci che la Nuvola è davvero pronta, anche ti ci sei intrufolato prima, come hanno già fatto in tanti, fra le donne delle pulizie e i funamboli che spolverano i pannelli di teflon. Potremmo anche pensare che l’inaugurazione in pompa magna di sabato prossimo, con la sindaca Raggi e Matteo Renzi, in diretta Rai di due ore (come per il Festival di Sanremo), sia un ennesimo complotto ordito per inchiodare la politica di fronte alle sue responsabilità. Certo Renzi, che ha avuto un ruolo effettivo nello sbloccare i fondi necessari alla sua ultimazione, potrà usarla come simbolo dello sblocca-Italia a un mese dal referendum e viceversa la sindaca potrà pure additarla come simbolo di malagestione delle grandi opere, mafiose per natura secondo 5 stelle e affini. Qualche numero: 16 anni dal concorso, 8 di cantiere di cui 3 buttati via per un project financing affidato a una società pugliese di proprietà della famiglia di un deputato Udc poi diventato sostenitore di Sel, che ha prima sbagliato i calcoli e quindi è fallita per un costo finale 238,9 milioni di euro. Vicissitudini differenti ma analoghe hanno conosciuto gli altri due grandi cantieri varati durante la giunta Rutelli, l’Auditorium e il Maxxi.
Poi c’è l’ente Eur spa (90 per cento del Tesoro, 10 per cento del comune) che è il nuovo Cnel, un “centro di spesa del keynesismo straccione” come lo ha chiamato Francesco Merlo su Rep., il cui unico scopo è giustificare centinaia di stipendi visto che in tanti anni non è riuscito nemmeno a vendere l’albergo di 439 camere, la Lama, che sta di fianco all’edificio ma è ancora da ultimare, mancano gli interni. E’ questa la vera nuvola, però nera e un po’ fantozziana, che incombe su quella bianca progettata dallo studio Fuksas: se l’albergo non parte a regime, non partono nemmeno i grandi convegni internazionali in una capitale, impossibile a credersi, sprovvista persino di grandi centri congressuali – guarda caso l’unico attivo di alto livello è privato, lo Sheraton. Ora la nuvola non è altro che una gigantesca bicicletta che dovranno far pedalare Renzi e Raggi insieme, pena un ennesimo – e stavolta colossale – fallimento. Anche per questo Massimiliano Fuksas fa la voce grossa con la stampa, in modo un po’ sguaiato: “La vendano subito ai tedeschi” e il Giornale ha gioco facile nel rispondergli subito “Lo paghino loro allora l’architetto”, non si sputa sul piatto in cui si mangia. Certo sia lui sia la moglie Doriana, che si è occupata dei dettagli di design come le poltrone Frau e le lampade Guzzini disegnate ad hoc per il bell’auditorium sospeso, sono un po’ nervosi perché si sta per inaugurare il loro opus magnum proprio nella loro città d’origine, un traguardo che nemmeno Renzo Piano ha raggiunto: grandi opere a Parigi, Londra, Berlino, New York (ultimo il Jerome L. Greene Science Center della Columbia University inaugurato a Harlem lunedì scorso, ospiterà anche il nuovo ufficio di Barack Obama), ma solo opere minori a Genova. Fra l’altro i Fuksas si sono anche risposati per la terza volta – senza mai lasciarsi –, in gran segreto e con rito religioso, venerdì scorso a Firenze, nella Cappella dei Pazzi di Brunelleschi, il capostipite degli architetti italiani, dopo le prime nozze negli Usa e le seconde in municipio.
Ci si potrebbe anche ironizzare sopra, stigmatizzando le non poche eccentricità della coppia, ma certo non è serio far ricadere solo sugli architetti tutto il peso mediatico di questo pasticciaccio italo-romano. Sarebbe ora che il governo varasse una legge per rendere obbligatorio il collaudo in corso d’opera su modello anglosassone e non ex post come quello vigente, Guido Roberto Vitale lo ha proposto qui sul Foglio pochi mesi or sono. Una mano in tal senso potrebbe darla anche il Senatore Piano, invece di disegnare casette prefabbricate per il terremoto come Jean Prouvé settant’anni prima di lui. Per ora però, in quella grande astronave del degrado che è diventata Roma, teniamoci stretta questa entità marziana che è la Nuvola: tripartita rispettivamente in una grande e fredda teca in acciaio e vetro, nella nuvola vera e propria che contiene il caldo auditorium in legno e infine nel centro congressi seminterrato cui si accede dalla grande e agevole scalinata in travertino di Palestrina, materiale romano per eccellenza. Certo se i Fuksas l’avessero progettata non nel 2000, ma 5 anni fa, oggi sarebbe diversa e forse non somiglierebbe più alla testa di cavallo che Frank Gehry ha realizzato nel 1995-2001 per la sala congressi della Banca DZ a Berlino, sebbene questa romana sia molto più ardita e prenda letteralmente il volo fino a oltre 60 metri d’altezza. E’ anche un’ulteriore svolta per il quartiere progettato da Piacentini, l’unico luogo della modernizzazione continua e per questo da sempre squadrato dall’alto verso il basso con il cipiglio della Delia di “Parigi o cara” (il film con Franca Valeri del ‘62): “Ce n’annamo a magna’ all’Eur… Che poi certi palazzi, come che fossero… che je posso dì…?” “Rudero però tirato ar fine! Insomma, non è moderno lì, vi è antico, però è quell’antico moderno che è la bellezza de Roma!”.
Universalismo individualistico