La parola alla sbarra
Roma. Numerosi processi si stanno per aprire in Europa sulla legittimità di criticare l’ondata di migranti che arriva nel Vecchio continente. Uno, in Germania, è quello a carico di Lutz Bachmann, il leader di Pegida, riconosciuto colpevole in nome della “Volksverhetzung”, la legge che proibisce l’incitamento all’odio. Ma ci sono processi simili ben più gravi, perché non riguardano agitatori della destra nazionalista, ma giornalisti e scrittori. In Francia ci sono stati i processi a Eric Zemmour e Renaud Camus, rispettivamente giornalista e scrittore critici del multiculturalismo. Ma il processo più eclatante si svolgerà in Austria e vedrà imputato Christoph Biro, rispettato e popolare editorialista e redattore capo del più venduto quotidiano austriaco, il Kronen Zeitung (un milione di copie). Un anno fa, Biro ha scritto un articolo in cui definiva la maggior parte dei migranti in arrivo in Austria “siriani con un alto tasso di testosterone” e ne denunciò “gli assalti sessuali aggressivi” (la “notte di Colonia” doveva ancora arrivare). Il commento di Biro scatenò molte polemiche, costringendo il giornale a fare autodafé e a mettere in ferie forzate Biro per un mese, giustificando la decisione con il fatto che Biro “aveva perso il senso della misura”. La procura di Graz due giorni fa ha confermato che Biro andrà a processo per l’articolo. A fargli causa, dopo trentasette denunce, il gruppo dei diritti umani Sos Mitmensch. Biro rischia fino a due anni di carcere se condannato per incitamento all’odio. “Integrazione? Una bella parola, niente di più”, aveva scritto il giornalista. Il suo articolo, pubblicato il 25 ottobre dello scorso anno, ha ricevuto il più alto numero di denunce e proteste, anche via Facebook, secondo gli osservatori della stampa austriaca. In Germania l’ondata di commenti online sull’immigrazione è stata così forte che uno dei maggiori organi di informazione, il settimanale liberale Der Spiegel, ha persino disabilitato i commenti agli articoli sui migranti. Lo stesso ha fatto il Guardian, giornale simbolo del progressismo britannico, che ha eliminato la possibilità di postare commenti agli articoli “su razza, immigrazione e islam”. Poco prima che Biro scrivesse quell’articolo, la cancelliera tedesca Angela Merkel aveva incontrato il fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg, in un vertice dell’Onu e, dal microfono acceso della Merkel, si è sentito la cancelliera chiedere a Zuckerberg se ci fosse il modo di impedire su Facebook la pubblicazione di commenti contrari all’immigrazione e se lui ci stesse lavorando. E Zuckerberg l’ha rassicurata che lo stava facendo.
Lunedì si aprirà un altro processo sull’immigrazione, in Olanda, e a carico di Geert Wilders, popolarissimo leader della destra dei Paesi Bassi che ha chiesto “meno” marocchini nel suo paese (Wilders è stato assolto cinque anni fa in un simile processo che rigurdava il Corano). “Lunedì inizia il processo contro la libertà di parola”, ha detto ieri Wilders. “Contro un politico che dice ciò che le élite politicamente corrette non vogliono sentire. Questo processo è un processo politico, e io mi rifiuto di collaborare”.
Se giudicato colpevole, Wilders potrebbe essere condannato a una multa di 7.400 euro e a un anno di carcere. Negli anni successivi al primo processo, il sostegno per Wilders e il suo Partito per la libertà è aumentato vertiginosamente, tanto che oggi Wilders insidia nei sondaggi il primo ministro olandese Mark Rutte (si vota a marzo). Più di 6.400 denunce sono state depositate sulla base dell’affermazione di Wilders nuovamente incriminata. Il suo avvocato, Geert-Jan Knoops, ha detto che è un pretesto per la repressione politica. “Questa discussione appartiene al dibattito politico, non a un tribunale”, ha detto Knoops ai giudici dell’Aia.
L’autodistruzione del drammaturgo
E quando non arriva a processo, per uno scrittore che critica l’immigrazione scatta comunque l’accerchiamento e la demonizzazione. E’ successo a un grande scrittore e drammaturgo, Botho Strauss, che sullo Spiegel ha scritto: “Preferirei vivere in una società che sta morendo piuttosto che in una che, per motivi economici e demografici, si mescola agli stranieri per tornare giovane”. Strauss apriva così il suo articolo: “Talvolta ho l’impressione di essere tra tedeschi solo in mezzo agli antenati”. Gli “antenati” cui fa riferimento sono i grandi spiriti della letteratura tedesca, destinata a dissolversi nella società multiculturale. La reazione è stata rapida. I supplementi letterari dei giornali più importanti della Germania hanno scorticato Strauss, diventato nel frattempo persona non grata.
C’è chi lo ha tacciato di paranazismo. Come la Welt, che ha scritto: “Non è decisivo sapere se il Romanticismo o le opere di Wagner o il militarismo prussiano abbiano una complicità diretta o indiretta. L’Olocausto è successo. E definisce la nostra identità di tedeschi e la politica della Germania, come il diritto di asilo”. Die Zeit ha invece definito il saggio di Strauss “un documento della follia”, concludendo che l’autore, fino ad allora tanto rispettato, “ha distrutto se stesso”. Se non si distruggono con le proprie mani, ci pensano i tribunali.