Cosa ci insegna il terremoto
E’ stato scongiurato l’incidente diplomatico innescato dalla dichiarazione del viceministro israeliano della cooperazione regionale: già prima della grande scossa di domenica mattina, Ayooub Kara aveva detto che il terremoto che ci ha colpiti è la punizione riservata da Dio all’Italia per essersi astenuta sulla risoluzione con cui l’Unesco ha islamizzato il Monte del Tempio di Gerusalemme. Delle parole di Kara non bisogna sottovalutare la portata teologica, per quanto espressa in modo insipiente. Un conto infatti è dire che non si può ridurre il volere di Dio a una ripicca, in cui a ogni azione discutibile degli uomini corrisponderebbe una punizione micragnosa e spropositata; un altro conto è presupporre la totale estraneità di Dio alle sorti umane.
Il secondo caso implicherebbe infatti che o Dio si disinteressa alla propria creazione e lascia gli uomini in balìa di una natura matrigna, quindi c’è solo da rassegnarsi al suo arbitrio incontenibile; oppure Dio regola gli affari propri eterei lasciando all’uomo la diretta responsabilità dei cataclismi su quest’angolino sublunare, pertanto non è Dio a mandare una disgrazia bensì la natura a reagire ribellandosi all’azione umana su di essa. Accettando quest’ultima interpretazione, l’argomentazione più coerente sarebbe dunque l’ambientalismo grillino, che sbraita di scie chimiche e Bilderberg, vagheggiando il mito di una natura che consentirebbe agli uomini di vivere più sicuri se soltanto cessassero di intervenire su di essa; per sconfessare quest’ipotesi basta domandarsi se trascorrerebbe una nottata più tranquilla un uomo in una camera d’albergo in cemento armato o uno catapultato nell’anfratto più incontaminato della natura.
Entrambe queste prospettive sono estranee alla teodicea giudaica. Kara non ha approfondito il tema ma doveva avere in mente l’Antico Testamento: le pagine in cui Dio fa crollare le mura di Gerico al suono delle trombe, per risolvere l’assedio in favore degli ebrei; quelle in cui Dio ferma il sole su Gabaon e la luna su Aialon per consentire all’esercito di Giosuè di seguitare una battaglia vittoriosa, senza sospensioni, fino allo sterminio del nemico; e, ovviamente, le dieci piaghe d’Egitto con annessa apertura e chiusura del mar Rosso. Il diretto intervento di Dio nelle cose umane si verifica anche in modo meno eclatante. Basta pensare a Giobbe che, funestato da sventure, viene abbandonato dagli amici persuasi che sia un uomo malvagio: in un contesto che sembra fare a meno dell’immortalità dell’anima, le punizioni di Dio non gravano nell’oltretomba ma sulla terra, accanendosi sui colpevoli e sulla loro discendenza, di modo tale che la disgrazia divenga sintomo irrefutabile del peccato. Ciò che vale per il singolo, vale anche per il popolo: per bocca di Ezechiele Dio minaccia terremoti in conseguenza dell’infedeltà di Israele (“dinanzi a me i monti tremeranno, le rocce crolleranno e ogni muro cadrà al suolo”) e, se a noi cristiani moderni queste idee sembrano naïf, conviene forse ricordare che a ogni Venerdì Santo ci inginocchiamo a leggere del terremoto che squarciò il velo del Tempio dopo la crocifissione.
E’ curioso che il sostrato di questa teodicea sia stato condiviso, in misura differente, da un ateo e da un cattolico. Massimiliano Parente ha pubblicato su Facebook l’immagine di un abside diroccata con la didascalia “Il crollo delle chiese però è divertente”; lo scandalo un po’ codino da cui è stato sommerso – perfino Alessandro Sallusti, direttore del Giornale cui collabora, lo ha difeso accusandolo di essere “precipitato negli abissi della stupidità” – ha messo in ombra la parte interessante del ragionamento dello scrittore. “Chiedo scusa a tutti i cristiani che se la sono presa con me e non con Dio che nella Bibbia manda catastrofi molto peggiori”, ha ulteriormente commentato Parente rinfocolando la polemica e spostandola su un piano diverso: non più l’entusiasmo iconoclasta del mangiapreti bensì una provocazione funzionale alla propaganda atea. La presenza del male sulla terra, le disgrazie naturali e la propensione del Dio veterotestamentario alla punizione truculenta servono a porre la classica questione: se le cose stanno così, o Dio non esiste oppure è malvagio.
Meno comprensibile sarebbe un’interpretazione cattolica secondo cui Dio ha mandato il terremoto in relazione al viaggio di Papa Francesco a Lund per l’inizio delle celebrazioni del cinquecentenario luterano. Antonio Socci in realtà più che asserire ha alluso (cito integralmente, ognuno giudichi per sé: “Il terremoto devasta la terra di san Benedetto (e di san Francesco) cuore dell’Europa cristiana. Invece di andar a rendere omaggio a Lutero che ha distrutto la Cristianità Bergoglio dovrebbe consacrare l’Italia mettendola sotto il patrocinio della Madonna. Occorre subito intervenire in aiuto dei terremotati e insieme bisogna pregare pregare pregare. Ma lui non crede a queste cose cattoliche…”) e ieri con un articolo meglio circostanziato si è emendato ricorrendo alla metafora del “presagio di una chiesa che sta crollando lasciando in piedi solo la facciata”.
Papa Francesco in viaggio a Lund (foto LaPresse)
Gioverebbe escludere del tutto anche solo il sospetto che il terremoto possa essere considerato punizione divina per il viaggio del Papa in partibus: il grande merito della teodicea cattolica sta proprio nell’aver mediato fra la posizione ebraica e quella atea, spiegando che il male sulla terra non certifica l’assenza di Dio ma che, al contempo, Dio non ragiona secondo le ripicche degli uomini. L’idea che la disgrazia individuale o collettiva vada interpretata come stigma della colpa di non essere fra i giusti deriva dall’Antico Testamento ed è tipicamente protestante: ragionare così, per un cattolico, sarebbe un modo singolare di insufflare che forse il Papa è luterano. Meglio citare i versetti in cui la Bibbia dice che ci fu un terremoto ma il Signore non era nel terremoto, ci fu un incendio ma il Signore non era nell’incendio, perché il Signore è un vento leggero che parla a chi tace per ascoltarlo.