Il Figlio
Sulla strada di un sì
In un giorno d’agosto, non so perché ho detto a mia suocera : “Sai, io e tuo figlio vorremmo creare una famiglia nostra. Vorremmo fare un bambino”. Da quel che so, mia suocera non ha mai fatto al mio compagno la domanda che tutte le madri rivolgono ai figli adulti, né ha mai parlato, almeno non in nostra presenza, del desiderio di diventare nonna. Credo la considerasse una remota possibilità, non qualcosa che a un certo punto della sua vita potesse effettivamente accadere. Me ne resi conto perché, nell’immediato, la notizia sembrava averla scioccata: per la prima volta nella sua vita non era riuscita a dire niente. La cosa mi preoccupò, ma sperai che finisse lì: bene, pensai, se neanche lei vuole diventare nonna allora neanche io diventerò madre. Avevo trovato l’alibi perfetto. Ma il giorno dopo venne a dirmi che non era riuscita a chiudere occhio per quella faccenda del nipote e mi chiedeva, adesso, quando sarei rimasta incinta, “O forse lo sei già?”. Le dissi che non lo ero e che non potevo sapere quando lo sarei stata e anche quella volta sperai che finisse lì. Una settimana dopo invitò me e suo figlio a pranzo per parlarci. “Ma non si può rimandare?”, “No, è una questione urgente”. Andammo quindi a pranzo e davanti a un piatto di gricia, che lei chiama “grigia”, ci chiese ancora quando l’avremmo resa nonna.
Avevo spalancato le porte dell’inferno. Come facevo a quel punto a spiegarle che io non avevo ancora deciso? Quel giorno di agosto le volevo parlare di qualcosa che nel futuro prossimo sarebbe potuta accadere, non di un’intenzione che sarebbe presto diventata realtà. Mi ero spiegata male e ormai ero in trappola. Ci disse che non dovevamo preoccuparci, che lei ci avrebbe aiutato, che se la notte il bambino avesse pianto ci avrebbe pensato lei, che tanto è insonne. Provammo a spiegarle che non era ancora il momento per parlare dell’organizzazione domestica, ma da allora tutte le settimane la domanda è: “Allora, quando mi regalate un nipote?” e la risposta è, sempre: “Presto”. Ma presto non arriva mai, perché io non ho deciso niente e anzi più il tempo passa più mi abituo all’ordine attuale delle cose, un po’ come quelli che rimangono single a lungo e riescono poi con molta fatica a formare una coppia.
Eppure, mentre continuo a dirmi che fare un figlio sarebbe deleterio per la mia salute mentale, per il lavoro e persino per la mia vita di coppia, leggo libri sulla gravidanza, il parto e l’allattamento, chiedo alle mie amiche come e dove hanno partorito, prendo nota delle migliori ostetriche della città, assumo acido folico ogni giorno da almeno sei mesi e guardo documentari e reality sulle sale parto: vittima di un istinto naturale strizzo un po’ gli occhi, mi tocco la parte bassa del ventre e sussurro, sommessamente, “ahia” mentre la donna nel video urla di dolore; infine il bambino nasce e io piango moltissimo e piango di più quando gli infilano il cappello di lana dopo averlo lavato. E mentre piango mi dico, spesso ad alta voce, che a me i bambini non piacciono, che sono meglio i gatti e io voglio molti gatti per tutta la vita, non voglio bambini. Non solo la ragione e l’istinto sono coinvolti in questa battaglia, persino il corpo manda segnali contraddittori: per fare un bambino si deve fare l’amore, questo è chiaro.
E io quando faccio l’amore non penso più che sto solo facendo l’amore, ma penso che forse è questa la volta che accadrà nonostante tutte le precauzioni prese.
Se da un lato mi spaventa il fatto che possa succedere, dall’altro faccio cose incomprensibili come mettere le gambe in alto come ho visto fare in diversi film dove lei provava a rimanere incinta. Mi dico che sarebbe proprio una bella cosa se succedesse, affidando la decisione al caso, senza dovermi prendere la responsabilità di scegliere e quando arrivano i primi sintomi premestruali sono convinta di essere incinta: il seno che fa male e cresce, l’irritabilità che in un attimo si trasforma in tenerezza verso tutte le cose viventi e non viventi del pianeta, la nausea. Ma in fondo al cuore so che sono solo le mestruazioni, eppure ci rimango sempre male quando arrivano e anche questo mese bisogna andare a comprare gli assorbenti, che non ci penso mai a farne una scorta. Poi mi chiedono se ho voglia di scrivere un racconto per un’antologia sull’orologio biologico e io accetto e scrivo un racconto su una donna che non vuole avere figli e spiega perché non li vuole e quella donna sono ovviamente io, ma io sono anche quella che legge quella donna pensando che sia un’idiota e che continua ad assumere integratori di acido folico e a fare analisi ormonali ogni sei mesi, a entrare nei negozi d’abbigliamento per bambini e comprare calzette e bavaglini, tute e cappottini. C’è una donna falsa in me che va assolutamente sconfitta e l’unica che può farlo sono io.
(2. Fine. Leggi qui la prima puntata)