Scanzi, il “romanzo”
Di certi romanzi vorremmo sapere tutto. In quanto tempo sono stati scritti, per esempio. Se sono stati riscritti, o se era buona la prima stesura. Come sono arrivati in casa editrice. Cosa raccontava la scheda di lettura – se mai ce n’è stata una. Cosa ne dicevano al momento di scegliere i titoli da stampare. Qual era il pubblico di riferimento: il lettore che tira giù il libro dallo scaffale, lo paga, lo poggia sul comodino della camera da letto. Vorremmo sapere tutte queste cose su “I migliori di noi”, il romanzo di Andrea Scanzi uscito da Rizzoli. Perché lo abbiamo letto da cima a fondo, senza riuscire a trovare uno straccio di risposta. Possiamo solo procedere per tentativi, in un esercizio di fanta-editoria.
Parlando del suo primo tentativo romanzesco – “La vita è un ballo fuori tempo”, sempre Rizzoli – l’Autore riferì che per scriverlo gli erano serviti 40 anni (li aveva appunto nel 2015). Un anno è bastato per l’opera seconda. Di riscritture o di editing non si trova traccia; del resto anche nel primo romanzo le ambizioni erano aggettivate come “stanche”, e le labrador mangiavano crocchette all’alchermes. ll pubblico di riferimento si restringe così ai lettori di Margaret Mazzantini, ai nonni che ancora ricordano un liquore chiamato alchermes, a chi ha un debole per i romanzi con i cani. Anche “I migliori di noi” ha il suo, una leonberger di nome Bergie. Cinquantotto chili di peso, alzarsi dal pavimento è un cataclisma: “Shakerò il corpo con gran clangore di orecchie e articolazioni, provocando una corrente d’aria che scompose il toupet dell’anziano signore a capotavola”. O forse è ancora l’imitazione dello stile Mazzantini: tu spariglia le parole, a tutti sembrerà letteratura.
In giro per Arezzo, Bergie “aggredisce il centro storico pugnalandolo da uno dei versanti più belli” (“e questa è classe”, pensa di sé lo scrittore). Non siamo a pagina dieci, e già Bergie ha pensato cose sensatissime sui Pink Floyd e sulla morte. (Nell’ipotesi che ci sia un lettore pagante, là fuori, ecco svelato di cosa parlerà il romanzo). Un altro cane si chiama “Troiaio”, colore del pelo “un arcobaleno daltonico di tristezza”. Chi spera in personaggi e trama – di questo son fatti i romanzi, o hanno cambiato le regole d’ingaggio senza avvertire? – troverà un tale Fabio e un tale Max. In una serata alcolica di 25 anni prima hanno scritto insieme la canzonetta “Dammi il bikini” – che con un senno di poi più che compiacente “per certi versi ha anticipato Tangentopoli”.
Uno – barando – ha incassato i diritti, per poi andarsene lontano da Arezzo. L’altro è rimasto, e ora scrive con un certo successo serie tv. Litigano? Ma figuriamoci. Al massimo rimettono insieme la band dei “Delfini Silenti”, sogno di ogni cinquantenne che ha strimpellato da giovane. Avrà un finale, almeno? Macché, arriva un giochino irritante e molto scaduto. Non c’era un editor che avesse fatto almeno il liceo, per sconsigliarlo? O si dava per scontato che nessun lettore arrivasse in fondo alla storia?
Letto e considerato, il pubblico di riferimento sembrerebbe composto dagli ammiratori di Andrea Scanzi come giornalista, teatrante, opinionista, personaggio televisivo. Legittimo, per carità: le case editrici devono pur campare, i tempi son tremendi e qualcuno alle belle parole dei giornalisti sui romanzi dei giornalisti ancora crede. Vietato però lamentarsi del fatto che Italia ci si appassiona poco ai libri e molto al calcio. Lì i giocatori in campo sono selezionati e allenati. Non giocano le partitelle dilettantistiche “scapoli contro ammogliati”.
Universalismo individualistico