I Wiener a San Paolo e quel punto da guardare nell'arte come nella vita
Lo Stabat Mater di Luigi Boccherini, con il Concerto per due violini BWV 1043 di J. S. Bach, è stato il protagonista del recital dei Wiener Philharmoniker a Roma. La serata s’inserisce in un più ampio Festival che da qualche anno anima l’autunno romano portando orchestre e cori di tutto il mondo nelle più importanti Basiliche dell’Urbe con programmi tutti dedicati alla musica sacra.
Nella vita come nell’arte c’è un punto da guardare. Un punto a cui tendere. Lo si studia, si cerca di comprenderne il significato e capirne il senso. La vera opera d’arte è di per sé riferimento, cima da esplorare. Calamita dell’intelletto e del cuore. Nella musica ci sono esempi chiarissimi e noti a tutti ma che val la pena ricordare. La Nona Sinfonia di Beethoven ha rappresentato una svolta nella storia della musica con la quale tutti i compositori hanno dovuto misurarsi nel creare una sinfonia. Stesso discorso per Il Clavicembalo ben temperato bachiano, la polifonia della Scuola Romana o la liederistica schubertiana.
Dici Stabat Mater e risuonano le note del basso di Giovanni Battista Pergolesi che in maniera unica ha commentato musicalmente gli ultimi attimi di una donna, della Donna, di fronte al Figlio morente. Pergolesi scriveva lo Stabat nel 1735 e da quel momento tutti hanno dovuto confrontarsi con questa partitura. Vincenzo Bellini confidava in maniera nemmeno troppo discreta che non poteva suonare lo Stabat di Pergolesi senza piangere. Rossini per lunghi anni si rifiutò di scriverne uno perché convinto che l’opera di Pergolesi fosse sublime e irraggiungibile. Rossini, un secolo dopo, lo scriverà, prima e dopo di lui anche autori quali Haydn, Boccherini, Poulenc, Dvořák. Tutti con lo sguardo fisso al maestro di Jesi.
Lo Stabat Mater di Luigi Boccherini, con il Concerto per due violini BWV 1043 di J. S. Bach, è stato il protagonista del recital dei Wiener Philharmoniker a Roma. La serata s’inserisce in un più ampio Festival (organizzato dalla Fondazione Pro Musica e Arte Sacra) che da qualche anno anima l’autunno romano portando orchestre e cori di tutto il mondo nelle più importanti Basiliche dell’Urbe con programmi tutti dedicati alla musica sacra.
Si diceva dello Stabat di Pergolesi e quello di Boccherini. Quest’ultimo guarda al primo con il rispetto e la dovuta considerazione e questo lo si coglie dal senso intimo e malinconico che permea la partitura. Allo stesso tempo è in grado di tirar fuori uno spartito traboccante di un verginale senso religioso. La versione che i Wiener propongono è la prima, con il soprano accompagnato da due violini, viola e due violoncelli. Una versione criticata e tacciata di monotonia che costringerà il Compositore a produrne una nuova con la presenza di tre voci. Boccherini organizza tutta la partitura, sia dal punto di vista formale che tonale, non solo per fini espressivi ma per valorizzare il testo di Jacopone da Todi.
La teoria così detta “degli affetti”, formalizzata nel trattato Versuch einer Anweisung die Flõte traversiere zu spielen (1752) di Johann Joachim Quantz, in tutta la musica di Boccherini e nello Stabat in particolare, trova espressione nella scelta delle tonalità minori (da quella d’impianto in fa minore sino alle modulazioni in do minore e ai momenti di luce in tonalità maggiore) nell’uso di appoggiature e cromatismi che danno al brano quel respiro affannoso e dolente. Anche il canto è sobrio e scevro da sovrastrutture che distolgono dalla comprensione della parola. E’ il Boccherini più lontano dal teatro e vicino alla musica cameristica del quale rimane autore sublime e ancora poco esplorato.
A quanto detto si aggiunga l’interpretazione dei Wiener Philharmoniker che pur in una situazione acustica difficile che a volte impasta troppo gli strumenti, confonde le parole ed esalta troppo la linea del basso, offrono alla platea un’esecuzione pulita, con pochissimo utilizzo del vibrato, sempre a sostegno e in dialogo con la voce del soprano Chen Reiss, quest’ultima perfetta per pronuncia, intonazione e presenza.