Altro che post-truth, sul web voi dite la verità e noi sappiamo cosa votate
Crisi dei sondaggi? Ecco come si “spazzolano” i big data. Parla Andrea Pontecorvo, direttore del settore Social data intelligence di IsayData.
Partendo dall’ultima domanda, si arriva prima al dunque: i sondaggi non ci azzeccano più “perché è cambiato il fenomeno sociale: è diminuita la fiducia nei media tradizionali e anche nei sondaggi come strumenti in grado di restituire correttamente le opinioni”. Nei social media ognuno dice ciò che vuole senza filtri, ciò lo rende ipoteticamente più attendibile per i suoi interlocutori; sull’altro fronte i sondaggi sono percepiti come eterodiretti. “C’è una percezione di ‘intromissione’, quando arriva una domanda dall’esterno, l’effetto ‘intervenire in un capannello’ lo chiamo, che produce disturbo e una dinamica distorsiva nella risposta”. Per sapere che cosa pensano nel loro insieme le persone – in anticipo, ma anche sul lungo periodo nel caso di aziende o istituzioni che vogliono misurare il proprio riscontro o potenziale – bisogna seguire una strada diversa. La strada la spiega Andrea Pontecorvo, direttore del settore Social data intelligence di IsayData, che a sua volta fa parte IsayGroup, una giovane società attiva a Roma e Israele che si occupa di comunicazione (ogni tipo di comunicazione) nel web.
IsayData è salita agli onori della cronaca la scorsa primavera perché, nel disastro dei sondaggi tradizionali sui sindaci, azzeccò 4 su 4 risultati elettorali: Roma, Napoli, Milano e Torino. Ed eccoci al punto. IsayData, spiega Pontecorvo, usa una metodologia diversa. Analizza i big data, milioni di terabyte, pertinenti alle “opinioni” (su un candidato, su una marca, sull’eccellenza di una università) presenti nel web: nei commenti ai siti internet tradizionali (giornali), nei blog tematici, nei social network. Milioni di tracce d’opinione lasciate da lettori, consumatori, fruitori di servizi vengono analizzati da programmi di lettura (alcuni sono software proprietari, altri già presenti sul mercato) e debitamente “spazzolati”, come dice Pontecorvo, attraverso chiavi d’accesso booleane, ma infinitamente più raffinate delle nostre ricerchine su Google. Il risultato di questa pesca a strascico tra le parole, le idee e i sottoinsiemi del linguaggio – una metodologia ovviamente non esclusiva, già utilizzata in altri paesi, anche se in Italia è ancora poco diffusa – è sorprendente, spiega Pontecorvo. Che non significa infallibile. Però permette (e i casi di applicazione elettorale già sperimentati lo dimostrano) una lettura in profondità delle motivazioni che vanno a comporre le scelte dei cittadini.
La possibilità è quella di recuperare, su un campione esplicito (affermazioni fatte in autonomia) e numericamente quasi infinito, moltissimi item tematici: tendenzialmente l’incrocio di tutte le parole che usiamo per dibattere un certo argomento. Ci sono poi sofisticati filtri di comprensione, ad esempio per suddividere ciò che può essere considerato fonte informativa primaria e ciò che è invece il prodotto di una influenza informativa subìta. “Però poi, alla fine, conta moltissimo il fattore umano, l’esperienza di analisti che valutano questa mole di dati e combinazioni elaborati dagli algoritmi”. IsayData in passato ha curato la comunicazione web di Gianni Alemanno e di Ignazio Marino, e conoscere il lavoro sul campo aiuta a giudicare. Ma saper leggere le opinioni espresse e censite in tempo reale ha un esito qualitativamente incomparabile. E soprattutto, dice Pontecorvo, adatto al tipo di formazione delle opinioni determinato dal web. Che però non è tutto: il tasso di incertezza rilevato finora a proposito del referendum, spiega, indica la possibile esistenza di un elettorato che sul web non si esprime (quello propenso al Sì). E potrebbe riservare sorprese, come è accaduto per Trump.