La sinistra anti scienza
Bias di conferma e politicamente corretto. Così i progressisti, più dei conservatori, frenano il progresso
Roma. “La vera guerra alla scienza”, così s’intitola un lungo saggio firmato da John Tierney, giornalista del New York Times, per la rivista di politiche urbanistiche City Journal. Sottotitolo: “La Sinistra ha fatto molto più della Destra per frenare il progresso”. Quella di Tierney è una lettera aperta a tanti suoi colleghi e lettori che gli chiedono perché, da giornalista scientifico, egli sembri dedicare sempre più impegno a confutare gli errori dei progressisti che non quelli dei reazionari. “Ai miei amici non piace la risposta che do loro: ‘Perché non ci sarebbe molto da scrivere’”. Ricorda per esempio il caso di uno dei presidenti americani più criticati dalla comunità scientifica, quel repubblicano di George W. Bush che all’inizio degli anni 2000 bloccò i fondi federali per la ricerca sulle cellule staminali embrionali: “Difficile dire che ciò abbia fermato la ricerca in materia”. E i creazionisti? Ci sono, “ma non hanno mai influenzato il lavoro di biologi e antropologi dediti allo studio dell’evoluzione”. L’elettore di destra è più stupido o ignorante? La stupidità è equamente distribuita tra tutti i colori politici, replica Tierney, e alcuni sondaggi dimostrano addirittura che gli elettori repubblicani, specie quelli di tendenza libertaria, sono più scientificamente preparati dei democratici. Piuttosto “due enormi minacce alla scienza sono peculiari della sinistra, e stanno peggiorando”.
La prima minaccia che arriva da sinistra alla scienza – scrive Tierney – è “il bias di conferma”, cioè la tendenza di tanti a cercare e accettare soltanto quelle informazioni che confermano le loro credenze e i propri pregiudizi. Oltre che da studi empirici su individui liberal, ciò è dimostrato dal fatto che mentre “gli scienziati tentano di evitare il bias di conferma sottoponendo il loro lavoro alla revisione dei propri pari e di critici che hanno punti di vista differenti”, in realtà “è sempre più difficile per i liberal trovare questi critici. Gli accademici hanno tradizionalmente una visione tendente a sinistra, e molti settori sono ormai caratterizzati da una monocultura, specie nelle scienze sociali, dove i democratici oggi superano il numero di repubblicani con un rapporto di 8 a 1”. Altro che peer review, ragiona Tierney, questo stato di cose favorisce una patologia chiamata “groupthink”, o pensiero di gruppo, oppure alimenta posizioni estremistiche. La coesione ideologica, come ha scritto Jonathan Haidt, psicologo della New York University, può essere utile, ma è “l’ultima cosa che dovrebbe esistere nel campo del sapere. Il progressivismo e specialmente l’anti razzismo sono diventati una religione fondamentalista, con annesse leggi anti blasfemia”. Così, negli ultimi 50 anni, sono stati bollati come intollerabili seri studi sui problemi dei bambini afroamericani cresciuti in famiglie monoparentali, oppure sui figli di coppie gay, oltre che qualsiasi approfondimento sul Quoziente intellettivo.
“La seconda grande minaccia che arriva dalla sinistra è la sua lunga tradizione di voler mischiare scienza e politica”. Mentre i liberali à la Hayek sono convinti che esperti ed organismi governativi soffrano della “presunzione fatale” di poter comprendere e governare il mondo intero, la sinistra non ha mai disdegnato l’ingegneria sociale. Così, pescando dalle ricerche sulla genetica e sull’allevamento degli animali portate avanti da università d’avanguardia, dagli anni Venti del ’900 l’eugenetica ha iniziato a muovere i primi passi, contribuendo (indirettamente) a scelte repressive come la politica del figlio unico in Cina. Derive politicizzate del confronto scientifico, secondo Tierney, sono rintracciabili anche nei dibattiti pubblici sulle biotecnologie applicate all’agricoltura, sul cambiamento climatico (visto che “la scienza climatica non fornisce giustificazione alcuna per l’agenda verde di Obama o di chiunque altro”) e sulla nutrizionistica. Un’iniezione di “scettico rigorismo” è quello che servirebbe all’accademia a trazione gauchista, accanto alla disponibilità a “dare il benvenuto ai conservatori e a tutti coloro che li aiuteranno a scoprire i propri tabù”.