La prevalenza dell'imbecille
Il referendum costituzionale, le conseguenze culturali del vaffa, un libro illuminante per capire cosa sta accadendo
E’ stato grazie al progresso che il contenibile stolto dell’antichità si è tramutato nel prevalente cretino contemporaneo, come sostenevano Fruttero & Lucentini, cioè nel personaggio a mortalità bassissima la cui forza è dunque in primo luogo brutalmente numerica. Prendiamo per un istante Beppe Grillo che, per una volta non dal blog, ma da un vero e solido palco, domenica, a Roma, si è affacciato davanti al suo pubblico acclamante, e ha urlato: “Il voto al referendum non lo dovete decidere con la testa, ma con la pancia”. Applausi a scena aperta, manifestazioni di giubilo, grida di assenso (d’altra parte la flatulenza appare sempre imbarazzante in solitudine, e però fatta da un’intera folla sembra invece liberatoria, come il pisciare in compagnia o l’esaltarsi in massa). Ma dicevamo, “il voto al referendum non lo dovete decidere con la testa, ma con la pancia”. Questa è una di quelle frasi che, se avesse fatto in tempo, Maurizio Ferraris, professore di Filosofia teoretica a Torino, avrebbe di sicuro aggiunto nel suo sublime “L’imbecillità è una cosa seria”, da poco uscito per il Mulino, un pamphlet che alla fine dimostra quanto Socrate avesse torto quando diceva che all’origine del male c’è l’ignoranza.
All’origine del male non c’è infatti l’ignoranza, ma l’imbecillità. “Non dovete decidere con la testa”, direbbe infatti Ferraris – secondo cui il tratto caratteristico dell’umano non è la riflessione intelligente, bensì la reazione imbecille e immediata, cioè il retaggio della caverna e della savana – richiama quasi quel “¡Muera la inteligencia! ¡Viva la muerte!” che José Millàn-Astray y Terreros, ministro della Propaganda di Francisco Franco, aveva trasformato nel motto della Legión Española in odio agli intellettuali e a tutti quelli che troppo cincischiano con bazzecole tipo il ragionamento analitico – “cogito ergo sum?” macché, “semmai rum” – quelli che perdono tempo tra quisquilie e pinzillacchere, che annegano il vitalismo e l’istinto, annacquano la rabbia dei giusti e la voglia di farla finita. “Sentite le persone se sono vere o fasulle, andate per istinto e poi votate”, ha gridato Beppe, e un po’ sembrava il precetto del maestro Yoda di Guerre Stellari (“Luke, usa la Forza”) e un po’ richiamava quell’abdicazione ai valori della ragione che ha tanto fatto riflettere storici e filosofi sulla prevalente imbecillità degli anni Trenta, quando il fanatismo, ovvero una forma particolarmente acuta di stupidità, venne promosso a termine positivo.
Il cretino è una figura tradizionale, amabilmente storica, e va rispettato come certe fontanelle in ghisa, certe massicce palme o un vecchio pescatore chino a riparare le sue reti, sostenevano gli ironici Fruttero & Lucentini. E non c’è dubbio che esista una vena italiana di riflessione sulla stupidità, che va da Prezzolini alla “Prevalenza del cretino”, dall’inetto di Italo Svevo ai cornuti di Pirandello, da Carlo Maria Cipolla (“Le leggi fondamentali della stupidità”) alle “legioni di imbecilli” di Umberto Eco, tutta un’analisi correlata forse a quel mito nazionale della furbizia sul quale giocavano i motti di Leo Longanesi e che Edgardo Bartoli sintetizzò dicendo che “l’intelligenza è la nostra forma nazionale di stupidità”. Tutta un’escrescenza del pensiero cui adesso si è anche dedicato Maurizio Ferraris, come dicevamo, con un libro, divertente e serissimo, che assume tuttavia tratti inquietanti – e diremmo anche tremendamente attuali – quando affronta il tema dell’imbecillità in politica, quella che ai tempi di Metternich e Talleyrand non aveva rappresentanza, e che invece si è fatta tanto più manifesta quanto più la politica si è allontanata dal gabinetto del principe per invadere i media.
E in particolare un medium: internet (“ciao, sono Diego, in quanto sommelier mi vorrei occupare di agricoltura”), cioè il formidabile dispositivo che all’imbecillità ha aperto infiniti interstizi, crepe, fessure orizzontali e verticali, mettendo a disposizione di questa piaga clamorose tribune e inaudite moltitudini di seguaci, e che in Italia è diventato il megafono della rabbia dei giusti (“condividi se sei indignato”) o piuttosto di quelli che si ritengono giusti, l’Italia lamentosa e vociante piena di scrittori discriminati, artisti incompresi, geni oscurati, rancorosi pronti a mutarsi in santissimi vendicativi, comici che trasformano la satira in programma politico e a suon di vaffa vincono le elezioni a Roma e Torino (“il pomodoro geneticamente modificato con dna di merluzzo ha ucciso sessanta ragazzi”). Un posto pieno di eccentrici. “A causa delle caratteristiche intrinseche del web oggi l’imbecillità è molto più documentata e diffusa, perché quella che un tempo era la prerogativa di Francesco Bacone, Lord cancelliere d’Inghilterra, scrivere per esercitare le dita, è diventata la più diffusa delle consuetudini”, dice Ferraris. E insomma l’imbecillità è propria del mondo moderno perché, con le potenzialità espressive offerte dalla modernità, lo stupido si rivela meglio che in qualunque altra epoca più raccolta e silenziosa. “Ma che puzza!”, “Scusa mi è scappato un tweet”, è la famosa vignetta di Altan.
E non a caso, mentre scriviamo, capita d’imbattersi – ne prendiamo uno ma c’è l’imbarazzo della scelta – in questo tweet di Bartolomeo Pepe, senatore, uno dei tanti regali del M5s al Parlamento italiano: “State lontani dalle camionette! Che la settimana prima di un #referendum importante in cui il governo va sotto di6punti – secondo i sondaggi ufficiali – può accadere che il destino delle genti italiche possa essere indirizzanto da una #bomba o da una #bombetta”. L’imbecillità è dunque il fardello della civiltà, e della politica contemporanea, mentre la cultura e il senso del ridicolo sono una grande diga costruita per tamponare questo mare immenso. Purtroppo la mancanza di entrambe va considerata come una circostanza che basta a definire un essere umano, dunque un politico, come un imbecille. Diceva infatti Ortega y Gasset, citato da Ferraris: “L’uomo di buon senso è perennemente tormentato dal sospetto di essere un imbecille, e vede aprirsi di fronte a sé l’abisso dell’imbecillità, mentre l’imbecille è fiero di sé”. Tra parentesi, c’è in Italia un noto politico che sostiene di conoscere Trump (ma Trump ha detto di non avere idea di chi lui sia), che da sostenitore di Putin si fa fermare dalla polizia sulla Piazza rossa, che s’imbuca nelle foto di Berlusconi con i calciatori del Milan… Sarcasmo e ironia non scalfiscono le sue maglie d’inconsapevolezza, le sue impavide autoassoluzioni. E infine, intorno a tutto, e su tutti, c’è ovviamente Grillo: “Il voto al referendum non lo dovete decidere con la testa”. E meno male che ha detto “con la pancia”. Perché avrebbe anche saputo facilmente consigliare altre parti del corpo su cui non batte il sole.