Tutte le ultime fregnacce pol. corr. spacciate dalle riviste universitarie
Il mondo accademico è nel panico a causa di un account Twitter, il Real Peer Review: un gruppo di accademici e ricercatori, in forma anonima, twitta i più grotteschi studi accademici pubblicati in giro per il mondo da case editrici prestigiose
"Il guaio con i poveri è che non dispongono di denaro a sufficienza”, scriveva nel 1985 la rivista Problems in the Urban Environment, edita dall’Università di Harvard. Fu la prima volta che il mondo accademico si sganasciò dalle risate a sfogliare il saggio di un collega. Da allora, i “journal studies”, pubblicati dalle migliori università del mondo, hanno fatto tanta strada. Perin Gurel, docente dell’Università di Notre Dame, ha appena pubblicato un saggio nel Giornale degli studi critici sul cibo, in cui sdottoreggia sullo yogurt greco. Perché piace tanto? Semplice, perché è “bianco” e rappresenta una forma di inconscio suprematismo razziale. La femminista Carol J. Adams invece ha coniato l’espressione “proteina femminizzata” per attaccare l’allevamento degli animali di sesso femminile. Sulla rivista Progresso in geografia umana, Mark Carey ha invece appena pubblicato un saggio dal titolo “Ghiacciai, gender e scienza”, in cui auspica la nascita di una “glaceologia femminista”, perché negli studi sul climate change c’è uno strapotere maschile (per questa ricerca il governo americano ha stanziato molto denaro).
Il mondo accademico è nel panico. A causa di un account Twitter, il Real Peer Review. E’ un gruppo di accademici e ricercatori che, in forma anonima, twitta i più grotteschi studi accademici pubblicati in giro per il mondo. Non quelli rifiutati (difficile immaginarne il livello), ma quelli pubblicati da case editrici prestigiose come Elsevier e Routledge. In soli quattro mesi, il Real Peer Review ha avuto oltre diecimila follower e citazioni dal Wall Street Journal. La California University, ad esempio, fa uscire una rivista dal titolo Razza e Yoga, assieme agli studi sulla “coscienza vegana”, mentre la rivista canadese Soggettività pubblica saggi sulle “esperienze sessuali con le persone obese” e all’Università del Missouri si studia “l’uso dei social media da parte di Lady Gaga”. E’ nato un Giornale del turismo e degli scambi culturali, in cui Chris Girman spiega: “Osserviamo i rapporti sessuali tra i turisti occidentali, me compreso, e gli uomini della Repubblica Dominicana”. Sì, avete letto bene. Se il Giornale sulla danza, edito a Cambridge, ha scoperto grazie alla ricercatrice Sarah Holmes che il pilates è davvero “razzista” (come la salsa del resto), la Rivista sociologica si è chiesta quale sia “il paesaggio temporale delle scarpe”. Una laurea in Filosofia non aiuterà a capire la ricerca dell’Università della South Florida sulla “etnografia autoerotica”.
La Rivista europea degli studi culturali diletta invece il pubblico sul “rap finnico”. Non poteva mancare una rivista di Geografia culturale, dove i supermercati sono avamposti della “conoscenza imperiale”, mentre la rivista Progresso nella geografia umana attacca il “razzismo ambientale e il capitalismo razziale” (in questo grande raggiro accademico, l’insalata di parole funziona sempre). Il Giornale sugli studi di genere, che ha propagato quella ideologia assurta alle cronache di mezzo mondo, non si vergogna di pubblicare articoli sul “miglioramento dell’erezione maschile come proiezione della mascolinità”. Il Viagra come dominio di genere (a Stanford invece si fa ricerca sulla “eteroglossia”). L’Università di Leeds, in Inghilterra, ha pubblicato una ricerca sulla “fenomenologia del pene gay”. E non poteva mancare, grazie all’Università di Oslo, un saggio sulla “fenomenologia dell’orgasmo maschile”, ovvero “il pene come ponte fra me e te”. Culmine delle prelibatezze: l’Università di Ottawa ha finanziato una ricerca sul “cocksucking fag”, slang poco elegante per indicare un omosessuale. Ma nei “cultural studies” non c’è nulla di stimolante. Neppure una fellatio.
Universalismo individualistico