Lasciate stare la Fedeli, per capire le radici del gender ascoltate il “Tristano e Isotta” di Wagner
Il gender nasce nelle viscere della cultura moderna, perciò il senso comune non coglie le obiezioni
Quando la diocesi di Milano rimosse un bravo prete di curia che cercava di capire in quante scuole si fosse introdotto l’insegnamento gender-free, cioè l’invito a considerare inessenziale il sesso biologico delle persone, maschio e femmina, e a puntare invece su un’identità sessuale intesa come scelta culturale, individuale, identitaria e di coscienza, protestammo sonoramente, ovvio. D’altra parte da molti anni questo giornale ha cercato di studiare il fenomeno diffuso e alla moda delle teorie del gender, argomentando un’opposizione “non negoziabile”, di quelle che il Papa regnante non capisce, così dice, alla cancellazione della realtà e diversità sessuale. Questo naturalmente non vuol dire essere ciechi davanti alla ricerca antropologica e filosofica sui caratteri propri della sessualità umana nel nostro tempo, e nemmeno ostili alle persone che non accettano la differenza e magari essere irriducibilmente incapaci di comprendere su quale sfondo si disponga in tutto il mondo, e ormai con una certa sistematicità, il diritto moderno o postmoderno a seguire “l’Io e le sue voglie” (Ratzinger) dicendosi uomo o donna sulla base di un criterio soggettivo appaiato subito e automaticamente a un diritto che non tollera, com’è giusto nel caso dei diritti, discriminazioni o negazioni censorie.
Dio ne guardi: nessun fanatismo ideologico, nemmeno se benedetto dallo scopo di sostenere la diversità tra maschio e femmina con argomenti biblici o di laboratorio o di senso comune realistico, è accettabile. L’ambivalenza, se non l’ambiguità, è a suo modo regina in fatto di eros e di sentimento del Sé in relazione all’Altro. Ora è ministro una sindacalista e politica professionista nel cui curriculum, a parte una controversa idea di che cosa sia una laurea, c’è anche l’iniziativa legislativa a favore della cultura dell’indifferenza di genere, a partire dal mondo dell’istruzione. Sono più che comprensibili, anche se e quando agitate con toni stentorei e malamente politicizzati, le obiezioni di quanti, laici e cattolici, vedono in questa nomina del ministro Valeria Fedeli un rischio culturale che avremmo potuto e dovuto risparmiare al sistema educativo pubblico. Daranno loro di oscurantisti, perché insigniscono la ragione umana libera del potere di discernere mascolinità e femminilità in base a criteri oggettivi, insomma oscurantisti perché illuministi. Facciano pure. Non so se Richard Wagner fosse un oscurantista, certo non era del giro della filosofia dei Lumi, fu piuttosto e indiscutibilmente un genio della musica e del dramma musicale e un oscuro (Wagner l’oscuro, dice Mario Bortolotto) seminatore di modernità etica ed estetica attraverso il suo romanticismo avvolto nello spirito della decadenza come in un cumulonembo carico di pioggia.
Ho ascoltato per la direzione di Daniele Gatti un formidabile “Tristan und Isolde” domenica scorsa, all’Opera di Roma, e ho capito le origini profonde della cultura gender-free, le sue radici nella nostra epoca (la metà dell’Ottocento è la nostra epoca, nonostante il XXI secolo). La notazione da cui parte il giudizio che mette Wagner in relazione all’ideologia Lgbtq e gender-free è semplice. Di superficie come tutte le cose che contano e hanno un vero significato. Ed è questa, la notazione. Tristano e Isotta, libretto e musica, si amano di un amore forte, atrocemente votato alla notte e alla morte, eppure dolcissimo e infinitamente emozionante, commovente, lancinante, ma se si chiamassero Tristano e Arturo o Isotta e Armida sarebbe esattamente lo stesso.
Nulla nel loro canto, ma proprio nulla, indica corporeità, differenza carnale, diversità biologica, apertura a maternità e sponsalità, nulla. L’amore convertito a idea dell’amore, disincarnato, idealizzato, puro distillato di senso, è un amore neutro sotto il profilo dell’identità sessuale degli innamorati. Si riconosce che sono un uomo e una donna perché lo sono nella leggenda, e nella partitura e per tradizione sono un tenore e un soprano, un cantante e una cantante. Non è arrivato ancora, a quanto ne sappia, un regista alla Peter Sellars capace di mettere insieme due tenori o due soprano o un tenore e un controtenore, di tenere in piedi il secondo atto, tutto dedicato al loro discorso d’amore, sul registro dell’eros indifferenziato e perciò anche omologo.
Quando idealizzato, l’amore è quello. Quando romantico e votato all’estetica decadente, il brivido dell’amore ti passa nelle viscere senza specificazione di sesso e di ruoli differenziati. Quando disincarnato e sottratto alla solarità del vero discernibile, immerso nella notte, l’amore non dice il nome del maschio e della femmina, non si connota per distinzione sessuale, si esalta e si sublima un un’oscurità tonale in cui tutti i sessi sono eguali. Come mi piacerebbe l’esperimento, e un dramma di quella struggente bellezza cantato da ruoli omologhi, leggenda e amore gay, magari alla Scala o all’Opera. Ecco. Polemizziamo quanto vogliamo contro la decostruzione del matrimonio attraverso le nozze gay. Prendiamoci la responsabilità di dire che se figliare è un diritto riproduttivo e non un atto naturale incontrovertibile, questo è perché anche la vita come l’amore è idealizzata, disincarnata, e un feto che vive e soffre non è che il riflesso dell’accoglienza che gli sarà data o negata dalla madre e dal padre con l’aborto. Facciamo il nostro dovere di esseri razionali e pietosi. Ma alla fine la questione è lì, nasce nelle viscere della cultura moderna e postmoderna, come si dice ora, e per questo si rivela intrattabile rispetto al senso comune che considera bigotta ogni obiezione razionale.