La singolare disfida tra storici su quanto è stato totalitario il fascismo
Galli della Loggia vs Gentile. Tra revisionismo e memoria
Nel suo recente libro di storia e di ricordi, Credere tradire vivere. Un viaggio negli anni della Repubblica (Ed. Il Mulino), forse l’opera migliore uscita in questi ultimi anni, Ernesto Galli della Loggia scrive che se oggi disponiamo di una “più vera immagine” del fascismo, “lo dobbiamo soprattutto agli storici (e non a tutti, bensì specialmente a quelli tacciati di revisionismo) formatisi nell’Italia postbellica” e, in nota, precisa facendo nomi e cognomi: “Certamente non a quella corrente storiografica, esemplarmente rappresentata dai lavori di Emilio Gentile, la quale mira invece a dare del fascismo italiano l’immagine di un regime piena incarnazione del totalitarismo novecentesco, e quindi in tutto e per tutto simile nella sostanza al nazionalsocialismo tedesco e al leninismo-stalinismo sovietico”. Toccare Emilio Gentile? Apriti cielo! Lo storico di fama internazionale, come viene in genere definito nella quarta di copertina dei suoi libri, è stato difeso l’11 dicembre u.s. sul domenicale del Sole 24 Ore – la testata che si onora di averlo tra i suoi collaboratori – con un graffio che lascerebbe un segno di sangue se non fosse patetico. Quanto scrive Galli della Loggia, si legge nel trafiletto, “è l’esatto contrario di ciò che Gentile sostiene da oltre trent’anni!”. “Fascismo, nazismo, comunismo sono fenomeni dotati di una specifica originalità storica: sono irriducibili a un denominatore comune”. 1979. E trent’anni dopo: “Le affinità fra gli esperimenti totalitari non implicano la loro assimilazione in un identico fenomeno”.
Le “somiglianze esteriori” del 1979, quindi, sono diventate “affinità” e a ben ragione, altrimenti perché impiegare l’aggettivo totalitario per designare i tre regimi? Sennonché quello che è umiliante per l’intelligenza del lettore non sono l’ignoranza, l’inintelligenza o la malafede presunte di Galli della Loggia ma è la replica sofistica del rabbioso vendicatore dell’onor ferito di Gentile. Se nessuna goccia d’acqua è uguale all’altra, come dicevano gli antichi, sarebbe davvero strano che fascismo, nazismo e comunismo venissero considerati alla stregua di fratelli siamesi. Il problema, però, è un altro: le loro differenze sono analoghe a quelle che passano tra copti, ortodossi, protestanti, cattolici, presbiteriani, valdesi etc. – tutti credenti in Cristo – o sono quelle che dividono maomettani, buddisti, cristiani, animisti, induisti etc.? Se si parla di “totalitarismo”, evidentemente, si pensa che fascismo, nazismo, comunismo – al di là delle loro macroscopiche differenze – siano species dello stesso genus e quindi ricadano nella prima analogia.
Gentile è lo storico che sempre “si dié vanto” di aver portato l’oscillante Renzo De Felice – la cui posizione sul totalitarismo era “complessa e non sempre chiara e coerente”, come ricorda, bontà sua – a riconoscere che “il fascismo italiano può essere considerato come un regime totalitario” e che negare questa realtà significherebbe renderlo incomprensibile. (v. Emilio Gentile, L’umiltà dello storico del Novecento. Profilo di Renzo De Felice in Renzo De Felice. Studi e testimonianze, a cura di Luigi Goglia e Renato Moro, Edizioni di Storia e Letteratura, 2002, p.96). A suo avviso, quindi, il fascismo presenta affinità col nazismo e con il comunismo e, pertanto, lungi dal potersi considerare un totalitarismo imperfetto o incompiuto – secondo le tesi dei due Domenichi, Fisichella e Settembrini – va considerato un vero e proprio regime totalitario. Emilio Gentile, com’è noto, lo sostiene contro una vastissima letteratura che va da Hannah Arendt a Raymond Aron, da Karl D. Bracher a Mario Stoppino, da François Furet ad Augusto Del Noce, per limitarci a questi nomi. E’ il piacer suo ma non si capisce il motivo di tanta animosità nei confronti di chi non lo annovera tra gli storici “tacciati di revisionismo” che hanno contribuito a una “immagine più vera” del fascismo. Viene il sospetto che Gentile veda dappertutto l’ombra del totalitarismo perché ce l’ha nella sua mente.